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Fotovoltaico, Usa fermano 300 mln
di risarcimento per parco fantasma

 
Nicola PEPE

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Nicola PEPE

Fotovoltaico, Usa ferma risarcimentoda 300 milioni per parco a Brindisi

Secondo la Procura stavano riciclando soldi di Antonino. Ma la vicenda non è terminata, il contenzioso è "ripartito"

Giovedì 15 Febbraio 2018, 07:45

17:52

MASSIMILIANO SCAGLIARINI

BARI - Due misteriosi imprenditori, un tribunale arbitrale di Washington, il più grande parco fotovoltaico d'Europa che sarebbe dovuto sorgere tra Brindisi e Mesagne. E una richiesta di risarcimento danni presentata contro lo Stato italiano: quasi 300 milioni di euro per aver ostacolato l'investimento di una società belga, la Blusun, dietro la quale - secondo una vecchia inchiesta della Procura di Brindisi - ci sarebbero anche gli interessi di un gruppo molto, molto pugliese. Riconducibile alla famiglia dell'ex sindaco di Brindisi, Giovanni Antonino, al suo ex assessore Ermanno Pierri e all'ex consigliere comunale Toni Muccio. Per il momento hanno avuto torto, ma la storia non è terminata.

L'Icsid, il Centro internazionale per il regolamento delle controversie sugli investimenti (un organismo della Banca mondiale di Washington), ha respinto il ricorso della Blusun, una società di diritto belga - riconducibile ad un tedesco, Michael Stein, e ad un francese, Jean Pierre Lecorcier, entrambi residenti in Svizzera - che nel 2009 avrebbe voluto realizzare un campo fotovoltaico da 120 Megawatt nelle campagne brindisine. La sentenza del Tribunale arbitrale che si è riunito a Parigi sulla base dell'Ect, l'«Energy charter treaty» del 1991, è di fine 2016. Ed è rimasta dimenticata tra le carte ministeriali fino a quando, nei giorni scorsi, lo studio legale francese che rappresenta Blusun ha notificato una istanza di revisione dell'arbitrato (i cui contenuti non sono ancora noti) in cui l'Italia sarà ancora una volta chiamata a difendersi.
Blusun aveva cominciato a operare in Puglia quasi dieci anni fa tramite la controllata Eskosol in cui compaiono come soci altri due personaggi napoletani. Ed è partendo da qui che si arriva ai pugliesi.

Tra maggio e luglio 2010, Eskosol ha infatti acquistato 12 piccole società pugliesi che, a loro volta, si erano silenziosamente accaparrate - a prezzi fuori mercato - diverse centinaia di ettari di suoli agricoli. Grazie ad una legge regionale criminogena, che poi verrà cancellata dalla Corte costituzionale, le 12 società tra il 2008 e il 2009 avevano presentato al Comune di Brindisi 120 dichiarazioni di inizio attività per altrettanti campi fotovoltaici da un megawatt ciascuno. Un trucco del quale la stessa Regione Puglia, che aveva emanato quella legge si rese conto quasi subito, istruendo nel 2008 le amministrazioni a fare attenzione alle «Dia» che in realtà frazionavano campi più grandi.

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Il giochino però non è riuscito. Nel novembre 2011 i carabinieri del Noe hanno effettuato un sopralluogo sulle aree della masseria Incantalupi oggetto delle Dia depositate da Gamma Service, Aurora Energia e Dada Project, scoprendo non solo che i lavori in realtà non erano mai cominciati, ma anche che due delle tre società erano state comprate dalla Eskosol e che i terreni erano tutti contigui. Il procuratore aggiunto di Brindisi, Nicolangelo Ghizzardi, segnala la circostanza al Comune che, sentendo tintinnar di manette, a dicembre 2011 annulla le Dia.

Il resto della storia è raccontata nelle carte dell'arbitrato. A marzo 2012 il Tar di Lecce ha sospeso l'annullamento delle Dia ma, a quel punto, era comunque troppo tardi. Perché a marzo 2010 la Corte costituzionale aveva cancellato la legge regionale che consentiva di realizzare campi da un megawatt con la sola Dia, ripristinando l'obbligo dell'Autorizzazione unica che comporta (anche) la verifica della Regione. E dunque Eskosol non poteva più completare l'investimento sfruttando una strana norma transitoria inserita dal governo nel decreto salva-Alcoa: permetteva a chi avesse in mano una di quelle Dia di installare comunque i pannelli fotovoltaici ma non oltre l'inizio del 2011.

Eskosol (e torniamo a dicembre 2010) aveva firmato un contratto con la Siemens, ma non aveva trovato i circa 20 milioni di anticipo necessari a costruire i 113 (su 120) campi fotovoltaici che erano stati inseriti nell'elenco del Quarto conto energia (gli incentivi statali). A quel punto ha tentato di realizzarne una parte, 27, che sarebbero stati venduti per 67 milioni al fondo svizzero Euro Catalysts Capital. Ma nemmeno questa operazione va in porto. I campi da realizzare scendono a due, solo che arrivano i carabinieri e si blocca tutto. E nel 2012 la società belga rinuncia all'investimento. Sul suolo pugliese restano le due cabine a media tensione, svariati chilometri di cavi elettrici e una quarantina di milioni di euro di debiti.

Davanti al tribunale arbitrale, Blusun ha sostenuto che la colpa del fallimento del progetto è della legge italiana, che non avrebbe «protetto» un investimento rilevante cambiando di continuo le regole. Lo Stato si è difeso facendo notare, tra l'altro, che il (presunto) investimento si basava su un trucco, quello del frazionamento delle autorizzazioni per sfuggire alle valutazioni ambientali. I giudici (un bulgaro per Blusun, un francese per l'Italia, un presidente australiano) hanno respinto la richiesta. Ma, come detto, non è finita qui.

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A settembre 2014 la Procura di Brindisi ha notificato proroghe delle indagini a carico di nove persone tra cui il francese Lecorcier, l'ex sindaco Antonino, la figlia, la prima moglie, i due napoletani, l'ex assessore Pierri e l'ex consigliere comunale Muccio. L'accusa era, a vario titolo, di associazione per delinquere e riciclaggio: nelle 12 società finite nell'orbita di Eskosol, quelle che avevano comprato i suoli agricoli al doppio del loro valore, erano finiti diversi milioni di euro di provenienza sospetta. Il fotovoltaico, secondo la Procura, era insomma una enorme lavatrice ma - per quanto è stato possibile ricostruire - l'inchiesta giudiziaria è poi stata archiviata.

Bisogna capire cosa accadrà con la richiesta di revisione della Blusun. Chi sta seguendo la vicenda spiega che le istanze di «annulment» vengono raramente accolte. Ma davanti all'Icsid è in corso un altro arbitrato, introdotto dalla Eskosol spa (controllata all'80% da Blusun), a prima vista ancora più bizzarro. La società italiana ripropone infatti le stesse richieste della sua parente belga. E pur essendo stata posta in fallimento, e con un mare di debiti, ha presentato una polizza che copre gli ingenti costi della procedura. I rappresentanti italiani hanno chiesto agli arbitri di obbligare Eskosol a rivelare da dove vengono questi soldi, ma il Tribunale ha respinto la richiesta. Dunque la domanda resta: chi si sta prendendo la briga di finanziare una società morta e sepolta? E soprattutto: perché lo starebbe facendo?

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