di GIANLUIGI DE VITO
BARI - C’è un fremito di speranze nuove. E qualche certezza in più. Tanto che l’incontro di oggi a Roma s’annuncia come decisivo per liberare il destino dei 1.890 operai della Bosch di Bari dal vicolo cieco della riduzione delle ore di lavoro (da 40 a 35) e quindi del salario: una strettoia che la multinazionale tedesca considera come unica soluzione per evitare la ghigliottina dei licenziamenti (minimo 450, massimo 580) che il funerale del diesel e i macroscandali Volkswagen hanno già quasi azionato causando riduzione dei volumi e sovracapacità produttiva.
Alle 12, Leo Caroli, il mediatore scaccia guai (è lui il vero assessore regionale al Lavoro) scelto dal governatore Michele Emiliano per trovare cerotti e se possibile vitamine per reindustralizzare, proverà nella sede romana della Regione Puglia a riavvicinare sindacati e azienda. Prima dell’estate una crisi di nervi ha di fatto reso ruvido il dialogo al tavolo barese. In quell’occasione Bosch ha parlato con lingua dritta prospettando il disegno del «lavorare meno per lavorare tutti». Quasi fosse un modello possibile e necessario alla luce di un Job Act che, accorciando la cassa integrazione e cassando la mobilità, ha di fatto tolto ossigeno economico a chi la crisi industriale la affronta a partire dagli ammortizzatori sociali. Ma il «meno ore o tutti a casa», visto che non si può più ciucciare la mammella dell’aiuto di Stato, è per i sindacati una mossa che butta nel cestino il contratto collettivo nazionale ancorato alle 40 ore settimanali: per i sindacalisti pugliesi è stato come ricevere l’invito a sedersi sulla sedia elettrica. Fine della discussione.
Così la patata bollente è stata trasferita a Roma, nelle stanze nazionali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil. Che hanno subito cercato sponde al ministero per lo Sviluppo economico per capire se l’interpretazione dell’articolo 4 della legge 148 (Jobs Act) fosse davvero tale da far concludere ciò che Bosch ritiene una verità scontata. E cioè: contratto di solidarietà al massimo per un altro anno, poi più nessun ammortizzatore.
I sindacati hanno chiesto un riconteggio e un’interpretazione del «quinquennio mobile» indicato come periodo di tempo entro il quale accedere a una delle misure di sostegno al reddito attivate dallo Stato (2 anni di cassa integrazione ordinaria o 2 anni di quella straordinaria o 3 anni di solidarietà o 2 anni di solidarietà più un anno di cassa integrazione ordinaria).
Il viceministro salentino Teresa Bellanova non è stata certo a guardare: riconteggio e interpretazione del quienquienno mobile sono stati fatti.
Conclusioni: non è vero che Bosch Bari ha solo un anno di solidarietà da poter utilizzare per far fronte alla crisi. Ma ci sono altri ammorizzatori da poter attivare. Questa la certezza in più.
Il fremito di speranze deriva dal fatto che di riduzione dell’orario del lavoro non si deve nemmeno fare cenno. In cambio, la Regione favorirà la formazione necessaria per garantire la produzione di nuovi prodotti utili a mantenere i livelli occupazionali nella bacchetta oraria e nella fascia salariale previste dal contratto. E i nuovi prodotti sono la pompa diesel «CP4» (l’unica sulla quale quale si investe in termini di innovazione per ridurre le emissioni) e il «Saugmodul», una specie di relè di plastica che alleggerisce, migliorandola, la componentistica elettrica del motore. Due prodotti che garantirebbero futuro e che la stessa Bosch non ha mai negato di voler impiantare a Bari.
Oggi il momento della verità. Non sarà firmato l’accordo, ma se ne potrebbero porre le basi a un arrivederci a Bari per la firma finale.
Tutti contenti? No, perché di sacrifici agli operai ne verranno chiesti eccome. Il fronte della rinuncia sarà su «par» (permessi annui retribuiti) e «rol» (riduzione oraria di lavoro) oltre che sui turni straordinari del sabato ben pagati. Ma se si arriverà a negoziare su questo vorrà dire che l’«uragano Irma» delle meno ore avrà davvero lasciato definitivamente Bari.