BARI - Una giovane ivoriana, lesbica, costretta ad avere un figlio, un camerunense picchiato quando venne scoperto in compagnia di un uomo. Sono alcune delle testimonianze di migranti rese pubbliche nel corso dei lavori di un convegno, a Bari, dove omosessuali provenienti da diversi Paesi africani hanno denunciato di vedere, in alcuni casi, rigettare le richieste di protezione internazionale da parte delle Commissioni territoriali. Questo perché - è stato denunciato - i loro racconti di aggressioni e discriminazioni subite e la loro stessa omosessualità non sono ritenuti veri. Il convegno, 'Migranti Lgbt: l’istituto della Protezione Internazionale per Orientamento sessuale e identità di generè, è stato organizzato dal Coordinamento Puglia Pride in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia.
Nel corso del convegno sono state raccontate le storie di dodici giovani, undici ragazzi e una donna, originari di Costa d’Avorio, Camerun e Nigeria. All’incontro ha partecipato anche l'avvocato Antonio Di Muro (UNHCR Italia), il quale ha ricordato che «in molti Paesi africani e asiatici l’omosessualità è ancora oggi un crimine, punito con il carcere o con la morte».
Tutti i ragazzi africani presenti oggi al convegno sono arrivati in Italia nei mesi scorsi e risiedono attualmente in centri di accoglienza pugliesi in attesa, e nella speranza, di ottenere la protezione internazionale. Alcuni di loro hanno già avuto il diniego dalle Commissioni territoriali e hanno fatto ricorso.
Un giovane camerunense di 24 anni, porta ancora sul suo viso le cicatrici di una aggressione subita nel suo Paese quando fu scoperto con un altro uomo. Il suo viaggio verso la libertà di essere se stesso è iniziato nel 2015. «In Camerun la parola abominio si usa quasi esclusivamente per gli omosessuali. Per noi - ha detto - è un vero inferno trascorrere la vita a nasconderci».
Un’altra giovane donna ivoriana, lesbica, nel suo Paese è stata addirittura costretta a sposarsi e ad avere un figlio. Ripetutamente picchiata dal marito e minacciata di morte, ha infine deciso di scappare e anche lei ha fatto richiesta di protezione internazionale. Le storie, tutte simili nella loro tragicità, rivelano anche la paura di questi ragazzi di essere doppiamente discriminati, da un lato per la loro condizione di migranti e dall’altro, all’interno delle stesse comunità di connazionali, per la loro omosessualità che ancora adesso, anche qui in Italia, nascondono per timore di aggressioni nei centri di accoglienza.