di ANTONELLA FANIZZI
BARI - Maria ha smesso di studiare a 14 anni. Acquisito il diploma delle medie inferiori, il suo futuro era segnato: seguire le orme della madre e quindi, raggiunta la maggiore età, prendere marito, diventare a sua volta madre e occuparsi della cura dei figli e della casa. Punto. Maria invece a 17 anni si è iscritta a un corso di formazione e insieme a un gruppo di coetanei è determinata a fare il grande passo: dar vita a una cooperativa nel settore della moda, con una specializzazione negli accessori per il teatro.
Il sogno di Maria, e di altre ragazze che abitano nella città vecchia, a Carrassi e a San Pasquale, ha preso forma nell’atelier di viale Unità d’Italia 63, nell’appartamento che ospita il Centro di ascolto per le famiglie e il Centro aperto polivalente per i minori e dove questo pomeriggio, a partire dalle 17, andrà in scena la sfilata di abiti creati durante il laboratorio di sartoria organizzato dalla stessa struttura. Le modelle e i modelli indosseranno inoltre i monili e la bigiotteria realizzati nel laboratorio artigianale che si è tenuto nel centro «Orizzonti» di Enziteto.
Maria è stata strappata alla strada e a un destino già scritto perché è stata intercettata dalle assistenti sociali del suo quartiere perché, come altre giovani donne, a rischio devianza. Per due anni, insieme a una ventina di persone di cui un terzo immigrati, inclusi i minori che a Bari sono arrivati da soli, senza genitori o parenti, ha scoperto la passione per l’ago e per il filo. Ha seguito i consigli di una sarta di 67 anni e ha frequentato il laboratorio di design e sartoria, gestito da due esperti, da un professionista 60enne, con il coordinamento degli educatori.
Il percorso di inserimento è diventato una scommessa: tanti ragazzi hanno imparato un mestiere antico, ma sempre attuale così bene da voler tentare di mettere in piedi una attività imprenditoriale, tante donne che lavoravano in casa a nero hanno trovato il coraggio di mettersi in regola e gli stranieri hanno compreso il valore della condivisione e dello stare insieme.
Gli abiti che questo pomeriggio saranno indossati durante la sfilata avranno l’etichetta «Fatt’ a Bar», un marchio destinato a essere registrato.
Commenta l’assessore al Welfare Francesca Bottalico: «Siamo orgogliosi dei risultati conseguiti. Il percorso ha previsto due fasi: una dedicata alla creatività, l’altra al design e alla sartoria, con il coinvolgimento di esperti e la collaborazione degli educatori che hanno accompagnato, motivato e seguito i ragazzi nel corso di questa esperienza. Il nostro intento è duplice: da un lato favorire lo scambio fra le generazioni e le differenti culture a partire da un sapere tradizionale, dall’altro offrire nuove occasioni di inserimento socio-lavorativo attraverso la creazione di start up di impresa o, più semplicemente, insegnando ai ragazzi un mestiere».
Il laboratorio in questa fase si tiene una volta alla settimana e si rivolge alle ragazze e ai ragazzi a rischio dai 14 ai 18 anni che non vogliono più andare a scuola.