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Noi che il vino lo facciamo
Viaggio tra uva, tini e tradizione

 
Noi che il vino lo facciamoViaggio tra uva, tini e tradizione

Venerdì 02 Settembre 2016, 10:02

13:32

Valentino Sgaramella

A volte le immagini leggendarie da cartolina possono servire a ricordare chi siamo e da dove veniamo. Per comprendere cosa sia la vendemmia bisogna partire dalla terra. In questo pezzo di profondo sud la terra è ancora arsa ed infuocata dal sole, spigolosa e spaccata come il legno degli ulivi che si contorce alla calura. Ed è anche la terra che non può fare a meno di certe tradizioni. Prendi Adelfia, come esempio. L’uva in questa città non è solo una importante fonte di reddito. È qualcosa di più. Chi lavora nei vigneti o commercializza l’uva da tavola ha un rapporto con il tendone simile a quello tra una madre ed un figlio. E quando attraversa i lunghi corridoi tra i filari con l’uva quasi intesse un dialogo.

E la vendemmia è uno dei momenti in cui si celebra ancora un rito. Peppino Mansueto ha 78 anni ed è ancora tenacemente legato ai vecchi sistemi d’un tempo. Racconta dell’atmosfera delle strade in cui si respira, sin dai primi giorni di settembre, periodo in cui l’uva risulta più matura a dolce, l’odore pregnante e particolare che esala il mosto, e si vedono troneggiare nelle cantine, botti e tini di plastica dura, pronti a ricevere l’uva. «Qui uomini e donne, bambini e bambine, intere famiglie partecipano a tagliare l’uva. Oltre naturalmente a contadini ed amici ingaggiati appositamente per l’occasione», racconta. «I carrelli agricoli vengono preparati per il bisogno; irrobustite le sponde, sulla piattaforma si poggiano le tinozze straripanti di grappoli», ricorda.

La mattina la sveglia suona alle prime luci dell’alba. Abiti vecchi e smessi e si parte. In testa, pagliette, coppole e fazzoletti. Forbici e «la sporta» (cesto costruito con le canne) per ogni operatore. Riempite le «sporte» o i secchi in plastica, i grappoli si riversano nelle tinozze o bigonce, allineate alla fine di ogni filare di vigneto. Durante le operazioni di taglio, oggi come ieri, si canta, si ride, si scherza. Antiche nenie la fanno da padrona, condite da uno spirito di allegria e spensieratezza. Durante il taglio dell’uva, solitamente non si pranza a casa, ma si consuma in campagna pane condito con il pomodoro e focaccia. Ovviamente l’uva non può mancare. Una volta riempiti i vari recipienti, portati a casa, si provvede a riversarli in grandi tini. La pigiatura è l’operazione che segue. In passato bambini ed adulti a piedi nudi saltellavano nel tino. Oggi si passa tutto in macchinari spremitori a motore.

A seguire, una volta al giorno, nei tini, coperti dal telo di nylon per tenere lontani i moscerini, si provvede alla «follatura» (si mescola tutto tramite un robusto e resistente ramo di mandorlo) del mosto per consentire una fermentazione regolare e continua. Dopo aver rigirato il tutto, operazione che dura 3-4 giorni, occorre «sfolge» (rimuovere) il mosto. Terminata questa operazione, il vino vien lasciato a maturare nelle botti di legno o in damigiane di vetro in attesa di essere travasato periodicamente, per eliminare i residui sgraditi. «Il vino novello, come tradizione vuole, potrà essere bevuto a partire dall’11 Novembre, giorno dedicato a San Martino», conclude Peppino.

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