Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione ha visitato la nuova sede della Gazzetta del Mezzogiorno: Presidente, la realizzazione di tante opere pubbliche dura decenni. Come si gestisce l’equilibrio tra legalità e obiettivo di realizzare l’opera?
«Si può gestire con due parole che sembrano datate ma che conservano un’indubbia validità: programmazione e partecipazione. Perché: qualsiasi opera pubblica ha un impatto, c’è sempre qualcuno che può ricevere un danno. Con la programmazione significa rendere evidente l’obiettivo che si vuole raggiungere e poi, più partecipazione che credo sia stato il limite del nostro sistema delle opere pubbliche».
Perché?
«Perché c’è stata una scarsissima capacità di far partecipare i cittadini. Nel nostro Paese si sono creati sempre tanti “tavoli”, ma ad alto livello, senza spiegare ai cittadini gli effetti benefici dell’opera pubblica. Penso anche alle discariche, avversate dai cittadini ma che comportanto effetti benefici, dal calo delle tasse, l’utilizzazione del tele riscaldamento. Il codice utilizza uno strumento, il dibattito pubblico, che ha funzionato molto in Francia. La parte francese della Tav è stata oggetto del dibattito pubblico, i cittadini sono stati informati, alla fine il decisore pubblico ha deciso».
Con il nuovo codice degli appalti si accelerano i tempi o si pongono altri filtri?
«Si accelerano i tempi delle opere, ma si prevede una fase precedente più approfondita attraverso la progettazione. Ora si fa le opere in modo irrazionale, con un progetto generico. Così quando si passava all’attuazione emergevano intoppi di varia natura, per esempio le falde acquifere, gli scavi archeologici. Così alla fine quando si arriva al progetto definitivo, ci si trova dinanzi ad una realtà completamente nuova rispetto a quella iniziale. Con conseguenze sul costo complessivo».
Come interviene il nuovo codice su questo percorso accidentato?
«Dobbiamo stabilire con chiarezza cosa fare, in modo che diventi più difficile cambiare in corsa».
Quanto pesa l’intermediazione politica ?
«Moltissimo, soprattutto nella parte in cui la politica si occupa di gestione».
Cioè quasi sempre?
«Meno di prima e con logiche diverse. Non credo che la Bassanini sia ancora una legge ancora attuale. Bisogna discutere perche ha avuto l’effetto della deresponsabilizzazione perché si crea un meccanismo per cui non si sa mai chi è responsabile di qualcosa. Oggi c’è un trend legislativo che va verso una maggiore responsabilizzazione. Con codice degli appalti si va in questa direzione. E allora perché non poter provare a dire che questo principio di responsabilità possa, entro certi ambiti, mettere in discussione la divisione così netta tra politica e burocrazia?».
Ma questa distinzione a volte traballa. Che ne pensa?
«Accade che attraverso la nomina della burocrazia la politica finisce con controllarla, ma senza assumerne la responsabilità».
Quindi la soluzione è lo spoil sistem?
«No, assolutamente. Anzi occorre andare in altra direzione, perché la politica per riappropriarsi della decisione ha creato un meccanismo che ha messo in discussione l’indipendenza della burocrazia che non deve essere politicizzata. Lo spoil sistem ha bisogno della burocrazia per operare. Una democrazia in cui la politica sceglie in modo trasparente, è una democrazia in cui è chiaro chi fa bene e chi sbaglia».
Le lobby vanno regolamentate?
«Penso che solo nel nostro Paese la parola lobby sia considerata una brutta parola. Anche un quartiere che si oppone ad un’opera fa lobby. Il problema è che la lobby deve esistere in modo trasparente, in modo da capire l’effetto sulla decisione dell’eventuale pressione. Nelle democrazie che funzionano le lobby rendono evidente la loro funzione di pressione e rendono trasparenti contatti con i soggetti che decidono. E poi sono trasparenti i finanziamento».
Da noi c’è stata la vicenda di Tempa Rossa che è costata la poltrona alla Guidi.
«Lì c’è stato qualcuno che legittimamente ha cercato di ottenero lo sblocco di una situazione economica. Lì sono in gioco tanti interessi economici. Il tema vero è questo, non impedire la rappresentanza degli interessi e dei diritti. È grave, invece, telefonare nascondendosi».
In Italia questa questione suscita sospetti di ogni tipo. Che ne pensa?
«Apprezzo la proposta avanzata dal ministro dello Sviluppo economico che intende introdurre una norma sulla regolamentazione delle lobby interne. Non può farlo come norma giuridica, ma il suo ragionamento è questo: le imprese possono venire al Mise ma in modo pubblico. Però chi viene al ministero deve dire il motivo del suo intervento, perché tutto deve essere fatto in modo pubblico, trasparente e regolare».
Una proposta, questa, che se attuata, susciterebbe un gran vespaio.
«Noi abbiamo l’effetto opposto di avere demonizzato un sistema che funziona in tutte le democrazie. Anche in quelle che pensano di essere influenzate solo dal web, finiscono con l’essere influenzate dalle lobby».
La montagna di leggi e regolamenti può essere criminogena?
«La risposta più semplice non può che essere sì. Ma bisogna andare più a fondo per trovare una soluzione. Perché in passato sono stati assunti provvedimenti di semplificazione che hanno finito con complicare».
E allora cosa si deve fare?
«Da una legislazione fatta male si esce non tagliando, facendo i falò di cartoni. La questione è la tecnica di legislazione. Se si hanno poche norme, e se sono scritte male, non cambia la situazione. I problema non è il numero di leggi, ma la tecnica legislativa».
Con la conseguenza che poi si chiede aiuto interpretativo alla magistratura. Un circolo vizioso?
«Occorre dire con chiarezza che l’idea del legislatore-giudice è frutto di un mondo superato. La tripartizione giudice-legislatore-governo era bellissima nell’Ottocento, ma non ci sarà mai una legge che non richieda interpretazione. Che però deve essere coerente e conoscibile. Negli Stati di common law non ci sono leggi, e non ci sono problemi di incertezza. Da noi invece c’è il civil law è abbiamo problemi di incertezza. Non è il problema dei giudici. La questione è che le leggi sono scritte male».