Lunedì 08 Settembre 2025 | 06:59

Gb, in 3 milioni per referendum bis
Junker: con Ue divorzio non facile

 
Rita Schena

Reporter:

Rita Schena

Jean-Claude Juncker con David Cameron

Jean-Claude Juncker con David Cameron

Sabato 25 Giugno 2016, 12:20

26 Giugno 2016, 13:27

Anti-Brexit alla riscossa. Dopo lo shock iniziale per la vittoria degli euroscettici il popolo di 'Remain' si ricompatta e lancia una petizione per tenere un secondo referendum sull'Unione europea che in poche ore ha superato i 3 milioni di firme. Lo si legge sul sito del Parlamento britannico. Sono soprattutto i londinesi pro Ue che si sono impegnati a fondo in una spontanea campagna online soprattutto usando il passaparola sui social media. 

Contemporaneamente la strana coppia Nicola Sturgeon-Sadiq Khan guida la carica sul fronte istituzionale e manda a Bruxelles il messaggio che Londra e Edimburgo non si considerano 'out'.

Forte dell’oltre 60% dei voti scozzesi pro-Ue, la first minister scozzese non ha voluto perdere neanche un minuto e ha subito convocato una riunione straordinaria del suo governo. Fuori dalla residenza ufficiale parlando con i tanti giornalisti presenti non si è limitata a ribadire che «l'opzione di un secondo referendum sull'indipendenza è già sul tavolo», come aveva annunciato subito dopo i risultati sulla Brexit. La volitiva leader della Scozia si è spinta oltre precisando che la lunga procedura per poter convocare un nuovo referendum è stata avviata. Qualche giornale ha parlato di settembre come possibile data per un’altra consultazione sull'indipendenza, ma nessuna fonte interna al governo ha confermato.

Sul fronte europeo Sturgeon si è dimostrata, se possibile, ancora più determinata. Ha chiesto a Bruxelles colloqui immediati per discutere come proteggere «il posto della Scozia all’interno dell’Ue e nel mercato unico» e ha deciso di convocare al più presto un vertice a Edimburgo con tutti i rappresentanti europei. Non solo, a quanto emerge, l’intenzione della first minister sarebbe quella di contattare gli altri paesi membri dell’Ue chiedendo di sostenere la causa della permanenza della Scozia nell’Unione. Sturgeon ha anche voluto rassicurare «i cittadini europei che ci hanno fatto l’onore di scegliere la Scozia come loro casa, sono i benvenuti. Voglio che il messaggio sia forte e chiaro».
A qualche miglio di distanza intanto il sindaco Khan sferrava l’attacco da sud. Lui e la Sturgeon si sono sentiti e condividono le stesse idee sulla permanenza delle loro 'zone di competenzà nell’Unione europea. «Abbiamo una causa comune», ha dichiarato Sturgeon. In comune hanno di sicuro la maggioranza dei cittadini che di Brexit non vuole sentir neanche parlare. Change.org ha rivolto addirittura un appello al sindaco di Londra per una provocatoria «secessione» della capitale dal Regno. «Siamo una metropoli internazionale, vogliamo rimanere nel cuore dell’Europa ed essere membri dell’Unione europea», è scritto nell’appello che ha superato le 100.000 firme.
Ma il vero record di adesioni lo ha ottenuto la petizione inviata al governo di Sua Maestà e postato sul petition.parliament.uk, la casa di tutte le mobilitazioni popolari. In poche ore sono state oltre 2.000.000 le persone che l'hanno firmata, mandando in tilt il sito per qualche ora. Per dare la propria adesione alla proposta basta cliccare su 'sign the petition' e compilare tutti i campi. Naturalmente possono firmare solo i cittadini britannici e i residenti nel Regno Unito. Secondo la mappa pubblicata sul sito, la più alta concentrazione si trova nelle principali città, Londra ovviamente in testa.
«Chiediamo al governo di stabilire una regola secondo la quale se le preferenze a 'remain' o a 'leavè sono sotto al 60% su un’affluenza inferiore al 75%, allora dovrebbe esserci un altro referendum», invoca la petizione lanciata da William Oliver Healey. Come previsto dalla legge avendo superato le 100.000 firme sarà valutata dalla commissione incaricata il prossimo martedì e, nel caso, presentata in parlamento. Secondo analisti ed esperti, è però altamente improbabile che il governo decida di annullare il referendum e tenerne un altro. Se pur non vincolante il risultato è l’espressione della volontà di 17 milioni e mezzo di britannici che hanno scelto Leave. E anche un giornale europeista come il Guardian non si fa illusioni: "Over. And out», titola secco. «E' finita. E siamo fuori».

E CON UE DIVORZIO NON CONSENSUALE - Nel «day after» alla Brexit l’Ue passa al contrattacco sui due fronti aperti: il rapido avvio del negoziato per l’uscita della Gran Bretagna e la messa a punto di una strategia per il salvataggio del progetto europeo. Mentre gli effetti del voto si fanno sentire concretamente a Bruxelles con le dimissioni del commissario europeo ai servizi finanziari, l'inglese, Jonathan Hill.
Il divorzio con la Gran Bretagna, avverte il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, «non sarà consensuale" e quindi facile. I suoi tempi, aggiunge la cancelliera tedesca Angela Merkel, non dovranno essere infiniti, anche se «non c'è bisogno di essere cattivi» con Londra perchè di problemi ce ne sono già abbastanza e gli interessi economici in gioco sono molto rilevanti.

Per il rilancio del progetto europeo si punta invece sempre più su un assetto a 'cerchi concentricì che, sotto la regia dei tre 'pesi massimì - un nuovo 'direttoriò formato da Germania, Francia e Italia - e con l’aiuto degli altri tre Paesi fondatori - Olanda, Belgio e Lussemburgo - consenta a chi lo voglia di andare più avanti degli altri nell’integrazione economica, nella cooperazione in materia di sicurezza e nella gestione congiunta della crisi dei migranti.

Passata l’emozione dello schiaffo inferto all’Ue dal 'sì' alla Brexit giunto dal referendum inglese, la diplomazia si è messa al lavoro - con la riunione svoltasi a Berlino tra i ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori dell’allora Cee - per mettere a punto una risposta concreta ai tantissimi interrogativi aperti.

«Non permetteremo a nessuno di rubarci la nostra Europa», ha detto prima di incontrare i colleghi il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier. E al termine della riunione, i sei 'soci fondatorì hanno sottolineato che «indietro non si torna» ma occorre andare oltre i «diversi livelli di ambizione verso l’integrazione» dei vari Paesi membri assicurando che l’Ue sia all’altezza dei desideri dei cittadini. E questo può avvenire solo attraverso un’Unione a 'cerchi concentricì o a più velocità che dir si voglia.
I ministri - per l’Italia Paolo Gentiloni - hanno quindi ribadito le necessità di stabilire un percorso chiaro e tempestivo per l’uscita della Gran Bretagna, esprimendo tra le righe il malumore per la tattica dilatoria già emersa dalle prime mosse del premier inglese uscente David Cameron. Un tema scottante a cui si lega l’esigenza di disinnescare il rischio di un 'effetto dominò e che sarà al centro del Consiglio Europeo di martedì e mercoledì prossimi.

Ma oggi è stata anche la giornata che ha visto cadere la prima testa a Bruxelles in seguito alla Brexit. Jonathan Hill, il commissario Ue responsabile per i servizi finanziati - messo lì da Londra per assicurarsi che le regole europee non danneggiassero la City - si è dimesso. Hill ha preso atto che dopo il referendum non era possibile andare avanti «come se non fosse accaduto nulla». Juncker ha provveduto ad affidare 'ad interim' il suo portafoglio al vicepresidente per gli affari economici, il lettone Valdis Dombrovskis, per il quale ora «la priorità è quella di mantenere la stabilità finanziaria dei mercati». E questo in attesa che Londra, alla quale - come ha ricordato lo stesso Juncker - un posto in Commissione spetta comunque fino alla sua uscita dall’Ue, decida il da farsi.
La partita diplomatica è comunque solo all’inizio e l’Italia di Matteo Renzi è destinata a svolgere un ruolo da protagonista. Il presidente del Consiglio si è incontrato questa sera all’Eliseo con il presidente francese Francois Hollande e lunedì i due si vedranno a Berlino con Angela Merkel e il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk. Prima di convergere, insieme a tutti i colleghi - Cameron compreso - a Bruxelles martedì per il summit. Che però mercoledì si riunirà senza il premier inglese per consentire ai 27 di definire la loro strategia.

BOLDRINI - MOBILITAZIONE PER COSTRUIRE UN'ALTRA UE - «Il referendum britannico suona come un segnale di allarme, un 'SOS Europà. Quest’Europa o cambia o morirà. I Parlamenti hanno una responsabilità importante, e noi la vogliamo esercitare. Bisogna riuscire a coinvolgere le persone». Lo dice la presidente della Camera, Laura Boldrini, che in un’intervista a La Stampa, sottolinea la necessità di rendere attuale il documento promosso a settembre 2015, con le firme di 15 presidenti di assemblee elettive nazionali, «per una maggiore integrazione europea».

«Per me è quasi pacifico che si debba procedere a due velocità. Gli Stati che non vogliono fare un passo oltre, liberi di fermarsi - osserva -. Ma non devono più impedire di andare avanti a coloro che invece credono in una Europa federale».

«Serve una mobilitazione generale, dobbiamo andare nelle scuole, nelle università, in tivù, nelle piazze, nelle periferie. È lì che dobbiamo riuscire a fare apprezzare la nuova idea di Europa - afferma -. Ripartendo dalla lotta alle diseguaglianze, da quella per i diritti. Fondamentale sarà rovesciare le politiche di austerità alla base di questa crisi». "Serve anche - aggiunge - una gestione europea condivisa dell’immigrazione, contro i populismi xenofobi che spacciano ricette fasulle. Io dico no alla cultura dell’odio che snatura la politica e crea cortocircuiti».

Boldrini si augura che il 2017, con i 60 anni dei Trattati di Roma, «l'anniversario coincida con una vera occasione di rilancio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)