Il caseificio Capurso licenzia 77 dipendenti in un colpo solo. Ormai, avviata la liquidazione dello storico caseificio. Dopo la vicenda Ansaldo per fortuna conclusa scongiurando il licenziamento di 197 dipendenti, Gioia ora conosce anche la crisi dell’azienda produttrice della famosa mozzarella «Gioiella», un vero marchio della stessa città. L’azienda in questo momento è retta da un commissario liquidatore, Luigi Puggeo.i libri contabili Dall’analisi dei libri contabili, inviata al Prefetto da Giuseppe Capurso il 15 luglio scorso, si registrano perdite per complessivi 5 milioni e 36mila euro circa. Una debacle dalla quale l’azienda intende risorgere con due nuove iniziative imprenditoriali. La prima nasce dalla «Caseificio F.lli Capurso Spa» ed ha un capitale sociale estremamente ridotto. La seconda è la neonata NewCo che dovrebbe far parte di una rete di imprese, qui dovrebbero confluire i lavoratori restanti.Ma i dipendenti sono scettici. Hanno dubbi sulla possibilità che la NewCo possa decollare. Temono che tutto si risolva nella semplice chiusura dei cancelli con 77 famiglie che rischiano da un giorno all’altro di trovarsi in mezzo ad una strada.
L’ormai ex titolare Pinuccio Capurso è irrintracciabile mentre un suo stretto collaboratore ci dicono sia in ferie. Al numero fisso in azienda non risponde nessuno. Dobbiamo quindi basarci sulle notizie contenute nelle 19 pagine che compongono le analisi contabili e la procedura di messa in liquidazione.la storia Procediamo con ordine. Lo storico caseificio nasce nel 1946 per volontà dei fratelli Sebastiano e Francesco Capurso. Nel 2005, l’azienda è ereditata da due fratelli Capurso, Filippo e Pinuccio, che la dividono in due rami. Giuseppe si occupa dello stabilimento in via Santeramo con il marchio Gioiella, che oggi è in crisi. Filippo apre una nuova sede in via Bari. Nel 2005, Pinuccio chiede per la prima volta la Cig. Dura sino a febbraio 2013. Ha inizio un periodo di lavoro a pieno regime. Tuttavia subito inizia a crollare l’attività. Alcuni lavoratori si dicono certi: «Gli ordinativi giungevano in azienda ma non si sa per quale motivo se ne avvantaggiava la concorrenza».l’azienda traballa A maggio 2013 si comincia a parlare di un nuovo periodo di cassa integrazione. Motivo: c’è da ristrutturare l’immobile. Da maggio 2013 iniziano i ritardi nel pagamento degli stipendi. Non si parla ancora di una situazione debitoria. Si giunge ad ottobre 2013. Si tiene una consultazione referendaria tra i lavoratori in cui l’azienda chiede se si voglia la ristrutturazione per crisi o la chiusura dello stabilimento. Risposta scontata: gli operai chiedono la Cig a seguito di una ristrutturazione per crisi. «Ma non avevano detto che la ristrutturazione era dovuta alla manutenzione dell’immobile?», si chiede Sabino De Razza, dell’Usb che tutela gli operai. Si avvia la procedura. Questa situazione perdura sino ad ottobre 2014 dura. La situazione precipita facendo emergere i conti in rosso dell’azienda. Il 30 aprile 2014 dinanzi ad un notaio di Gioia, l’amministratore unico della società, Giuseppe Capurso, dichiara che il capitale sociale è di un milione e 22mila euro circa. Solo nei primi 3 mesi del 2015, l’azienda perde 2014mila e 26 euro che si aggiungono a «alle perdite pregresse non coperte di 4milioni 832mila 131 euro». La Caseificio F.lli Capurso Spa perde in totale 5milioni 36mila euro circa. Come far fronte a questo profondo rosso dei conti? Anzitutto, pagando tutti i debiti. In cassa ci sono solo 3 milioni e 63mila euro circa. Un milione di euro viene immesso dai soci. Infine, si attua una riduzione del capitale sociale che di fatto fa nascere una nuova società del tutto ridimensionata con un capitale sociale di appena 50mila euro. Nel progetto presentato alla task force della Regione si prevede la nascita della NewCo inserita in una «Rete di imprese» che dovrebbero, da qui al 2017, riassorbire i 77 lavoratori. «tutto finto» «Il progetto in Rete è inesistente perché solo su carta. La NewCo non è ancora stata inserita nell’apposito registro delle imprese - dichiara De Razza - Qui stiamo perdendo un pezzo importante della produzione locale, un pezzo della stessa storia di Gioia. C’è una promessa di ricollocazione dei lavoratori in settori che non si dovrebbe occupare del settore caseario motivo per cui servono corsi di formazione professionale. La realtà è che intanto licenziano e poi si vedrà. L’Usb chiede l’intervento delle istituzioni».