BARI - È un momento indubbiamente ispirato per il calcio barese. C’è una squadra che fa mirabilie in campo. Un’altra, la splendida tifoseria, che fa blocco fuori. E un’altra ancora che fa la differenza fuori dal rettangolo verde. Quando parliamo di gruppo non facciamo riferimento, evidentemente, solo allo spogliatoio nel senso stretto della parola. Qui a Bari ci sono persone che lavorano dietro le quinte. Che hanno sposato una causa e che non hanno mai abbassato la testa, nemmeno nei drammatici giorni che hanno preceduto l’autofallimento. Gente che conosce la parola dignità. Quella che ha tenuto la baracca in piedi quando la squadra giocava davanti a 800 spettatori e in città si faceva a gara a chi la sparava più grossa nel tentativo di destabilizzare l’ambiente. Cattiverie e falsità.
Fa un certo effetto a ripensarci oggi, col «San Nicola» che si preannuncia pieno come un uovo. Ma le verità vanno sempre ricordate. Tutte, nessuna esclusa.Claudio Vino è un personaggio di cui si parla pochissimo. Non fa il calciatore, nemmeno l’allenatore, men che mai il dirigente. Lui è il team manager ed è qui su precisa volontà di Guido Angelozzi. È l’uomo di raccordo all’interno della squadra, un riferimento imprescindibile per i calciatori. Tutti i piccoli problemi sono suoi, le rogne pure, idem incombenze e questioni organizzative. Lui, proprio lui, è l’ideatore dell’iniziativa dei cornetti e dell’acqua da regalare ai tifosi in coda per acquistare un biglietto. Ecco, il concetto di squadra. Non si vince solo in campo. Anzi, diciamocela tutta: i successi nascono soprattutto fuori. Quando si è tutti sulla stessa barca e tutti remano nella stessa direzione.
Nel Bari, insomma, si parlano più lingue. Non c’è solo quella del pallone. Si comunica in mille modi, il gol diciamo che è l’atto finale di un processo articolato e, proprio per questo, intrigante. Si parla del Bari e di questi ragazzi in ogni angolo d’Italia. Telegiornali nazionali, tv a pagamento. Il sogno biancorosso è diventato l’argomento del giorno. La società che fallisce e la squadra che rinasce con un’intera città a spingerla verso i giochi promozione. Ecco il sogno. E la favola da vivere raccontandola, giorno per giorno.
Se ci fosse sempre giustizia nella vita... questo Bari in A ci andrebbe a occhi chiusi. Sarebbe troppo bello, qualcosa di unico. Una storia incredibile, forse irripetibile. Però, in fondo, è giusto che i verdetti sia sempre il campo a darli. E non i discorsi legati alle emotività. In A non si va portando i cornetti ai tifosi e riempiendo lo stadio. Ma segnando un gol più dell’avversario, arrampicandosi sul muro delle difficoltà con l’entusiasmo del principiante e la maturità della squadra che è cresciuta giorno dopo giorno.
Domenica, al «San Nicola», ci sarà il pienone. Poco meno di sessantamila spettatori. Ieri è stata sospesa la vendita dei biglietti. Siamo già oltre cinquantamila tagliandi dopo che nel primo giorno ne erano stati staccati addirittura trentaquattromila, cioè qualcosa ai confini della realtà. Un bel modo, indubbiamente, di arrivare alla prima sfida contro il Latina. Qui, tanto per sgombrare il campo dagli equivoci, nessuno ha dimenticato l’ultimo schiaffo assestato dai pontini, premiati oltremodo al culmine di una partita ricca sì di concretezza ma mai realmente espressione di una superiorità tecnica, tattica e atletica. Ecco, la vera sfida del Bari passa attraverso il capovolgimento di quel verdetto. Stavolta il golletto dovranno segnarlo Defendi e Sciaudone, Joao Silva e Ceppitelli, Polenta e Fossati, Galano e Sabelli, Calderoni e Guarna, Del Vecchio e Cani. Per continuare a sognare. Bari c’è. Ormai lo sanno proprio tutti.
















