di AMERIGO DE PEPPO
Con Giuseppe Di Vagno scompare l’ultimo signore della politica pugliese «targata» Prima Repubblica. Scompare, ironia del destino, in quello stesso mese di settembre nel quale, 92 anni fa, moriva assassinato dai fascisti a Mola di Bari suo padre, l’onorevole socialista Giuseppe Di Vagno.
Che la politica fosse nel suo destino era scritto in quel tragico avvenimento che gli impedì di conoscere il padre, ucciso il 25 settembre del 1921, primo parlamentare socialista vittima della violenza fascista.
Giuseppe Di Vagno nacque a Conversano pochi mesi dopo, il 30 gennaio del 1922. Laureatosi in Giurisprudenza, cominciò l’attività forense nello studio del senatore barese Giuseppe Papalia. Nel 1945 si iscrisse al Partito socialista e si schierò con gli autonomisti di Nenni. Nel 1947, dopo la scissione di Palazzo Barberini, aderì però al Psli di Giuseppe Saragat e si trasferì a Milano, dove continuò la professione di avvocato.
Nel 1959 il rientro nel Psi e, nel 1963, la prima elezione a deputato. Sarà confermato a Montecitorio fino al 1983. Nel 1968, il primo incarico di governo: sottosegretario al Mezzogiorno.
All’inizio degli anni Settanta, Di Vagno sì avvicinò alle posizioni del segretario nazionale del Psi, Giacomo Mancini e, dopo il Midas, a Bettino Craxi. Fu anche sottosegretario all’Industria e all’Interno.
Nel 1983 fu nominato presidente dell’Isveimer. La fine della Prima Repubblica coincise con il suo ritiro dalla vita pubblica. Non smise però di studiare, analizzare con l’acume e l’ironia che gli erano propri, i cambiamenti della società e della politica italiana. Fino a poco tempo fa, non era affatto inusuale la sua presenza a dibattiti e tavole rotonde, come non era difficile incontrarlo in aereo. Il legame con Roma non è mai stato rescisso e Di Vagno, a dispetto della veneranda età, viaggiava da solo, con l’immancabile mazzetta di giornali e il telefonino, simbolo di quella modernità che non aveva certo subito, ma fatto sua.
Giuseppe Di Vagno è stato un politico sempre al passo con i tempi, convinto sostenitore della necessità di modernizzare il Mezzogiorno, senza piangersi addosso, ma cercando di cavalcare l’onda del cambiamento. Lo stesso atteggiamento ebbe nei confronti del Psi, che vedeva aperto a realtà imprenditoriali e professionali.
Signore della politica, Giuseppe Di Vagno non fu però mai «monomaniaco»: le sue passioni, il suo bagaglio culturale erano a tutto campo e sapeva conquistare i gli interlocutori parlando di viaggi, di culture lontane, dei piaceri della tavola e del buon bere.
Non è un caso se tra le sue letture preferite ci fossero gli scritti di un maestro di ironia come Ennio Flaiano: un «pozzo» al quale ha attinto a piene mani, aggiungendoci spesso del suo.
















