La prima impressione è che il comandante abbia preso troppo alla lettera l’ordine di effettuare «tagli» alla Difesa.
Vincenzo Lops - 60 anni, bersagliere originario di Corato, da poco elevato a generale di Corpo d’armata - ha trovato il tempo, nei suoi uffici del 2° Comando forze difesa di Napoli, di prendere carta e penna e di diramare a tutte le Brigate dell’Esercito che dipendono dai suoi ordini, compresa la «Pinerolo» in Puglia, la «raccomandazione» di eliminare barbe e/o «pizzetti» dal viso. Senza mezzi termini, il «tre stelle» pugliese portatore di un gran paio di candidi baffi ha invocato il viso glabro da parte di tutti i militari di sesso maschile - fra i 20mila sparsi in Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna - nel nome di un ritorno ad una esemplare «cura e fisicità militare della persona», perché - ha scritto - «un volto pulito e rasato garantisce quel senso di pulizia e di cura quotidiana del corpo (anche in ambiente operativo) fondamentale non solo dal punto di vista medico sanitario ma anche da quello della marzialità, della disciplina e dell’aspetto esteriore, segno di vigore ed ordine militare».
Incredibile ma vero questo balzo indietro di decenni nella «cultura» delle forze armate di terra, che proprio nella «Pinerolo» paradossalmente vanta il progetto d’avanguardia «soldato futuro» (un equipaggiamento ad alta tecnologia per le truppe).
Ma Lops si è guardato bene da «imporre» i «tagli» - non finanziari - ai suoi con un ordine formale, forse già in parte conscio di superare i limiti giuridici del suo mandato. Ha inviato la «circolare» in forma di «lettera aperta» che «va oltre il concetto di ordine imposto dall’alto, in quanto deve trattarsi unicamente di una scelta personale, ed ecco perchè intesa come una vera e propria prova». Ed esattamente «una prova di valore, forse mentale e morale, che date al vostro comandante», «una personale prova di rispetto e di accettazione del mio modo di comandare», scrive Lops ai suoi militari. E ha aggiunto che chiede questa «prova come quelle schiere di valorosi guerrieri che, fiduciosi del proprio capo, ne accettano ciecamente ogni ordine, proprio perché lo chiede il loro Comandante». E questo senza farsi «condizionare da mogli o fidanzate».
Mentre già qualcuno ha segnalato il caso al ministro della Difesa Mauro, paventando il pericolo di non essere più valutato adeguatamente sotto il profilo professionale per il semplice «pelo» sul viso, sembra ancor più paradossale la sortita del «nostro», un generale che probabilmente non ricorda bene nemmeno la storia dell’Unità d’Italia che in fin dei conti ha costruito il sistema-nazione che gli ha dato carriera e stipendio.
Il riferimento-principe è ovviamente a Giuseppe Garibaldi e alle sue «camicie rosse»: sfoggiando una barba foltissima, l’«eroe dei due mondi» (aveva combattuto già in Sud America) sbarcò e guidò i suoi Mille in Sicilia e in Campania contro le truppe borboniche, conquistando proprio la Napoli che oggi è la «piazza d’armi» di Vincenzo Lops il 7 settembre 1860, per poi «consegnare» la metà meridionale della Penisola a Teano il 26 ottobre seguente.
Se questo è il «curriculum» di Garibaldi, nel passato di Lops si trova un episodio di segno opposto: è stato processato in qualità di comandante della task-force italiana a Nassiriyah (Iraq) all’epoca della strage compiuta con un camion-bomba da un gruppo di terroristi locali contro la base «Maestrale». La strage fu compiuta il 12 novembre 2003 e causò la morte di 28 persone fra militari e civili italiani e iracheni, compresi i due attentatori suicidi, 58 i feriti. Le ipotesi di accusa nei confronti del generale erano di non aver adeguatamente attrezzato la base con misure di sicurezza tali da contrastare efficacemente qualsiasi attacco, ma l’alto ufficiale - che comandò il contigente italiano dal 20 giugno al 7 ottobre di quell’anno - è stato completamente assolto.
Ma l’ultimo eclatante paradosso è che Lops - ripetiamo, bersagliere - fu alla guida della Brigata con sede a Caserta intitolata proprio al barbuto «eroe dei due Mondi», Giuseppe Garibaldi, dal 2001 al 2003.
Ma al di là di ogni considerazione «storica» o di tipo sociale, risulta almeno strano che un ufficiale di tale livello attanagliato dai problemi di ristrettezze di bilancio e di risorse trovi il tempo di raccomandare ai suoi militari di andare al più presto dal barbiere. Ma fonti del Comando qualificano questa come la richiesta di una «prova di fiducia».
















