BARI - L’incarico legale al centro degli accertamenti fu conferito dall’Adisu «in violazione» delle norme vigenti. Tuttavia l’avvocato napoletano Francesco Fimmanò «veniva individuato in ragione del suo curriculum di elevato spessore professionale», e ha accettato un compenso «conforme ai limiti indicati dall’ente e proporzionato all’entità della causa». È per questo che la Procura di Bari ha chiesto e ottenuto dal gip Francesco Mattiace l’archiviazione delle accuse a carico di Fimmanò, direttore scientifico dell’università telematica «Pegaso» di Napoli, coinvolto nell’inchiesta a carico dell’ex direttore generale, Gavino Nuzzo, nei cui confronti le indagini vanno invece avanti.
Il 15 giugno i carabinieri, su ordine della pm Savina Toscani, hanno effettuato una perquisizione a Nuzzo per acquisire documenti, cellulari e computer. È in quella sede che è emerso il coinvolgimento di Fimmanò, per via di un incarico legale da 30mila euro ottenuto da Nuzzo nel 2020. Il provvedimento di sequestro è stato annullato dal Riesame, ma la Procura è intenzionata a fare ricorso per Cassazione insistendo sulla configurabilità, in astratto, dell’ipotesi di abuso d’ufficio nei confronti dell’ex direttore, che nella scelta delle commissioni di concorso e in alcune nomine avrebbe violato i regolamenti interni dell’agenzia per il diritto allo studio. La nuova formulazione dell’abuso d’ufficio richiede la violazione di regole previste «dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità», ma - è la linea della Procura - quelle regole interne dell’Adisu discendono direttamente dai vincoli del codice degli appalti e, dunque, la loro violazione configurerebbe l’abuso d’ufficio.
Fimmanò (difeso dall’avvocato Francesco Mastro) ha chiarito la sua posizione durante un interrogatorio, spiegando in particolare che il ruolo di direttore scientifico della Pegaso non è un incarico pubblico. In più la consulenza legale contestata era la prima accordata da Nuzzo, per cui «può escludersi - ha scritto la Procura - che tale incarico si inserisca in pregressi accordi e/o rapporti illeciti reiterati nel tempo volti a garantire “favori” al legale».
Le indagini vanno avanti, ha scritto la pm Toscani, «per il solo Nuzzo in relazione alle ulteriori vicende», cioè il concorso per dirigenti e la relativa scelta delle commissioni che - questa l’accusa - nata da una serie di lettere anonime, sarebbero state addomesticate così da poter assumere persone legate al partito «Sud al Centro» che fa capo a Sandro Cataldo, marito dell’assessore regionale Anita Maurodinoia e cugino omonimo del presidente dell’Adisu. La Procura deve dipanare una serie di coincidenze: Cataldo, tramite una agenzia, è il referente locale dell’università Pegaso, dove risultano aver lavorato sia Nuzzo che alcuni dei commissari dei concorsi, ma dove si sono laureati anche diversi degli assunti nell’agenzia, molti dei quali candidati con «Sud al Centro». Una rete di parentele, amicizie e rapporti politici che - questo il tema dell’inchiesta - potrebbero avere in qualche modo inquinato le procedure amministrative dell’Adisu. Nuzzo si è dichiarato estraneo a tutto questo: «Sono stato messo in un tritacarne mediatico e costretto ingiustamente ad andare via».
L’agenzia al momento è commissariata: la Regione deve pubblicare il bando per la scelta del nuovo direttore generale.