Un no fermissimo al riarmo, un intervento più deciso delle organizzazioni internazionali per far prevalere l’azione diplomatica, il rischio di un conflitto nucleare, la guerra come presenza del Male nel mondo. È la lucida analisi dell’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, che grazie alla lunga esperienza rispetto ai temi del lavoro e dell’ambiente ha sempre ben presente il ruolo e le sofferenze della gente.
Ci sono continuamente appelli del Papa dei vescovi dei sacerdoti per la pace in Ucraina, ma lei ritiene che sia davvero possibile costruirla in questo momento?
«La pace è una necessità, perché non sappiamo dove andremo a finire se si scatenano conflitti di più ampie proporzioni, coinvolgendo l’Europa e quindi gli altri alleati, gli Stati Uniti e così via. Gli sviluppi della guerra sono imprevedibili. Per questo è urgente la pace, come il Papa sempre indica e raccomanda. Il suo grido “fermatevi” è un richiamo non alle anime belle, ma una considerazione realistica sulla condizione umana. Non si può arrivare a una estensione del conflitto. Se si prende la via degli armamenti si va proprio su questa strada. È più che mai urgente un negoziato tra le parti, altrimenti il conflitto assumerà proporzioni incontrollabili».
Questo che lei dice, mons. Santoro, è vero. Se però dall’altra parte, i russi non vogliono sedersi al tavolo, che cosa si può fare? Per volere la pace bisogna essere in due, dando per scontato che la vogliano gli ucraini, i russi non sembrano propensi a una trattativa seria.
«A questo punto dovrebbero intervenire gli organismi internazionali: l’Onu e una concertazione più ampia, in cui trova posto anche la Russia per un controllo differente del territorio. Occorre una mediazione internazionale di grande livello che finora - a parte qualche appello - si è vista poco, non con un impegno concreto. La Nato e l’Unione europea si muovono, ma nel senso più militare che diplomatico. Ci vorrebbe un surplus di diplomazia da parte dell’Onu, mettendo alle strette la Russia e portandola a dialogare per una soluzione possibile del conflitto».
Pensa che le sanzioni economiche potranno essere d’aiuto, oppure inaspriranno la situazione?
«Le sanzioni economiche sono un deterrente, meglio queste che il ricorso alle armi, meglio queste che l’aumento delle spese destinate al riarmamento. È necessario uno stop alle armi e quindi preferibili le sanzioni economiche, che però vanno valutate bene, considerato che richiederanno un sacrificio non soltanto ai russi ma anche a noi. Allora se questo sacrificio riesce a limitare i danni della guerra si può accettare, anche se metterà in discussione la nostra vita comoda».
Torniamo al discorso delle armi. Se non vengono fornite loro, gli ucraini come possono difendersi? Devono arrendersi e, come purtroppo si è visto, farsi massacrare?
«Attenzione, è ammesso anche dalla dottrina sociale della Chiesa il diritto all’autodifesa nei confronti delle ingiustizie. Quindi il sostegno agli ucraini è fuori discussione, ma solo fino a quando questa autodifesa non crei un male maggiore di ciò che si vuole contrastare. La giusta difesa cioè non deve generare un male superiore, ovvero il desiderio dell’annientamento totale del nemico. Per questo la Chiesa comprende e accetta il diritto dell’autodifesa dall’ingiustizia, fino a quando essa non crei un male maggiore di ciò che si trova a contrastare. Per cui se gli aiuti in armi portano verso l’uso paventato dell’arma atomica c’è un male maggiore. Insomma la resistenza deve essere proporzionata.
Tutto il sostegno al popolo ucraino, ma c’è anche un altro aspetto da valutare: una cosa è il governo della Russia, una cosa è il popolo. Stiamo assistendo alla sofferenza anche del popolo russo. Nel negoziato deve quindi emergere un’attenzione alla vita dei popoli. Serve un equilibrio di giudizio sulle azioni cui siamo tutti chiamati, cui dobbiamo partecipare: non siamo quelli che assistono stando sul sofà. Dobbiamo metterci in gioco dando il nostro contributo, magari con una vita più austera. C’è una visione più alta della pace che ha effetti di carattere politico, sociale e speriamo anche di tipo militare. Occorre un equilibrio di giudizio e di azione a cui siamo tutti chiamati e che, proprio per la fragilità originaria del cuore dell’uomo, è molto difficile da sostenere. Qui sta il valore immenso e realistico della consacrazione al Cuore immacolato di Maria dei popoli russo e ucraino. Esso ricorda che le vittime delle guerre sono spesso innocenti e che, come siamo tutti accomunati nel medesimo peccato originale, siamo tutti resi fratelli e sorelle dalla redenzione che Dio ha operato incarnandosi in Maria».
Come giudica il comportamento degli italiani rispetto all’accoglienza dei profughi ucraini?
«È stato lodevole. Segno di una grande generosità: vedo tanta gente che rende disponibili appartamenti sfitti e anche parroci che mettono a disposizione ambienti parrocchiali, così come qui a Taranto il Centro notturno di accoglienza per senzatetto della Diocesi ospita donne e bambini in fuga dalla guerra. Vedo un’accoglienza diffusa, è un buon segnale che indica la condivisione di difficoltà e sofferenze e il desiderio che non siano gli innocenti a farne le spese. Dobbiamo dire che all’origine di tutto questo, nella visione biblica, c’è la ferita del peccato originale. Cose così terribili sono segni del Male e allora ci vuole un’ondata di civiltà, sia da parte dei cattolici sia da parte di chi ha un’altra fede, o semplicemente una sensibilità naturale, per far prevalere il desiderio di pace, di convivenza civile nel segno della giustizia».
Pensa che una visita del Papa a Kiev sia possibile e sia utile?
«È possibile perché il Papa non risparmia alcun mezzo per sostenere la causa della pace. Ora sta valutando quanto questa visita nel momento attuale sia efficace, poiché c’è anche una valutazione in questo senso. Lui andrebbe subito, ma in un momento come questo bisogna valutare tutti i fattori».