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Veneziani: «La federazione? Rischia di finire in un mezzo aborto»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Veneziani: «La federazione? Rischia di finire in un mezzo aborto»

Il giornalista e saggista: in Italia il bipartitismo non funziona

Martedì 08 Giugno 2021, 14:45

BARI - Marcello Veneziani, giornalista e saggista, come giudica l’iniziativa salviniana della «federazione» di centrodestra?
«Avrebbe senso se fosse concordata con tutti i soggetti del centrodestra e con, in testa, una leadership riconosciuta che al momento non c’è. Rischia di finire con un risultato piccolo piccolo».

L’esempio del Popolo della libertà non autorizza entusiasmi...
«Ecco, proprio quell’esperienza dovrebbe aver vaccinato dall’idea di trasformare il bipolarismo, che ci può stare, in bipartitismo. Quest’ultimo da noi non regge, è inutile. È vero che l’elettorato di destra è omogeneo ma qualcuno alla fine si chiama sempre fuori o inizia a perdere consensi come fu per Gianfranco Fini in passato. E il giocattolo si rompe»

Ma Forza Italia fa comunque bene a sedersi al tavolo?
«Gli azzurri non hanno una posizione unitaria: qualcuno vede questa opzione come un’ancora di salvezza, altri come la capitolazione finale. Si arriverà a una sintesi che sarà un mezzo aborto: una specie di cabina di regia per compattare le forze conservatrici oggi al governo».

Ma in questo tentativo di sintesi è la Lega che si modera o Forza Italia che si «sovranizza»?
«Si potrebbe dire che è un caso di simbiosi mutualistica. Chiunque ha qualcosa da guadagnare. Il Carroccio punta a farsi legittimare a livello europeo e a entrare nel Ppe, Forza Italia mira a contare qualcosa in più ed essere forza egemone. Anche se tutto, è ovvio, dipende dalle condizioni di salute di Berlusconi».

Il Cavaliere punta al Colle...
«Salute e numeri mi sembra bollino l’impresa come proibitiva. Sarebbe più sensato, per il centrodestra, appoggiare la salita di Mario Draghi al Quirinale e puntare a governare».

Alla fine della giostra, quindi, qual è l’obiettivo reale di questa federazione?
«Qualcuno ci vede solo un tentativo per arginare l’ascesa della Meloni ma in realtà serve a realizzare quello che si diceva prima: dar forza agli azzurri e legittimare la Lega».

Il Carroccio ha intrapreso da tempo la via della «legittimazione», entrando nell’esecutivo Draghi e poi guardando al Ppe. Non c’è altro modo per governare in Italia?
«È una vecchia storia. Nel nostro Paese c’è una forbice tra assenso e consenso: se vuoi il consenso devi assumere posizioni radicali ma se vuoi l’assenso, cioè la legittimazione, anche europea, devi temperare i toni. La Lega è sospesa tra queste due spinte opposte. Se si modera troppo accresce ancora di più il consenso della Meloni ma se si radicalizza perde le sponde che contano. È un po’ la stessa cosa che sta succedendo al M5S».

Veniamo a FdI: fanno bene i meloniani a chiamarsi fuori?
«Dal loro punto di vista sì. Sono un partito in crescita perché si distinguono dagli altri. Entrare nella federazione li indebolirebbe anche perché dovrebbero accettare la leadership di Salvini. Poiché nel centrodestra comanda chi ha più voti, la Meloni, che studia da premier, vuole legittimamente giocarsi la sua partita».

Basterà davvero stare all’opposizione e «distinguersi» per completare la scalata?
«C’è un dato strutturale: metà Paese ha simpatia per le forze di destra ed è un consenso stabile, che non muta. Ad essere variabile è invece il singolo appoggio al leader o al partito come dimostra la parabola veloce di Matteo Renzi».

Quindi cosa dovrebbe fare FdI?
«Strutturarsi meglio è la precondizione per tutto. Seve un investimento sulla qualità della classe dirigente. Le leadership televisive non fanno molta strada».

Diviso tra maggioranza e opposizione, indeciso sui candidati, spaccato sulla federazione: il centrodestra sopravviverà a tutto questo?
«Il centrodestra vive la volubilità e la contingenza di tutto lo scenario politico. L’unica consolazione è che gli altri sono messi peggio. A fronte del basso consenso dem e dello sgretolamento del M5S, i problemi del centrodestra non sembrano affatto dei drammi». 

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