Bari - La strada e la galera, i due luoghi simbolo del potere della «Luna». Potenti fuori dal carcere, potenti dentro il carcere. «Il potere di intimidazione degli Strisciuglio - si legge negli atti dell’inchiesta Vortice Maestrale - si esplica anche nei confronti della popolazione carceraria e del personale di Polizia Penitenziaria. Si tratta del sistema più efficace per ribadire la supremazia criminale e l’autoritas del clan proprio nei luoghi di espiazione della pena». Emerge come i membri di vertice della famiglia di camorra degli Strisciuglio, tra il 2015 e il 2020, dalle carceri abbiano continuato a gestire i propri affari, a dare direttive, impartire ordini e non solo tramite le «ambasciate» affidate «ai parenti durante l’ora di colloquio» ma anche «in via diretta utilizzando telefoni cellulari consegnati clandestinamente in carcere». Alcuni esempi. Diciassette febbraio 2018, Casa Circondariale di Avellino, nella cella di Donato Telegrafo e Giovanni Faccilongo, gli agenti trovano due apparecchi cellulari completi di scheda telefonica. Il 12 settembre di quello stesso anno nel carcere di Terni, viene intercettano un pacco destinato al detenuto Nicola Moramarco, dentro ci sono droga, un telefonino e 4 schede sim per Moramarco e per Alessandro Ruta, pezzo da novanta, rinchiuso in quello stesso penitenziario. Nell’elenco di coloro che in quegli anni hanno avuto a disposizione un telefonino vi sono anche Vito Valentino, rinchiuso a Voghera; Saverio Faccilongo a Taranto, Lorenzo Caldarola nel carcere di massima sicurezza di Nuoro; Nicola Ciaramitaro a Melfi. Le «cornette» venivano fatte girare tra i detenuti amici. I telefonini non venivano utilizzati solo per partiti ordini a distanza e ricevere notizie «da casa» ma anche per trasferire notizie e aggiornamenti da un carcere all’altro. Dall’inchiesta emerge anche che finire dietro le sbarre e trascorrere in carcere anni di vita, veniva (e viene) considerato dai «ragazzi della Luna» un rischio calcolato, una prova del fuoco che li avrebbe marchiati e resi più «carismatici». In una delle intercettazioni ambientali effettuate dai detective della sezione Criminalità organizzata della Squadra Mobile, guidati dal vice questore Pasquale Testini, ad esempio si sente Antonio Monno che dice a Giovanni Tritto : «Che cazzo ce ne frega u frà! A noi...vedi io ora, io faccio questo rito abbreviato, se mi va male, vent’anni! A cinquanta, a cinquantacinque noi staremo fuori...stiamo di nuovo con il carisma nostro, la cosa bella!...però noi che siamo consapevoli, abituati...io quando mai ho avuto 50 euro...che io ho sempre fatto la fame in galera fratello mio, sempre la fame ho fatto». Tritto gli chiede «Ma tu con che avvocati stai?» e Monno gli risponde «No a me è l’avvocato........Il problema è che io a questo non gli do i soldi frà! Ora l’avvocato è venuto qua e mi ha detto il fatto del processo che dobbiamo fare, delicato, e vuole i soldi e io gli ho detto: mi vuoi seguire? Seguimi! altrimenti mi metto quello d’ufficio fratello! Che mi interessa a me...A questo non gli do niente io, 500 euro gli diedi, che venne Nicola (Nicola Abbrescia)...mi mandò 1.000 euro, 500 euro alla fine del mese e 500 all’inizio e dissi a mia moglie “Prendere 500 e dagliela!” a me quella è la forza mia frà!...in galera 80 ero alla settimana, 90 euro alla settimana e faccio la spesa». Poi i due parlano dei ragazzi che hanno sulla strada e che rappresentano la lor fonte di gbuadagno. Monno «No a me ora stanno già due ragazzi, U’Black” quello di via Napoli, un amico mio, un bravo ragazzo!». Tritto lo conforta «Se vuoi prenderti qualche mio ragazzo..fammi sapere!».
I rapporti, le relazioni, gli equilibri creati fuori dal penitenziario si riproducono dietro le sbarre. E così le guerre possono nascere dentro le celle. Lunedì 11 gennaio 2016, poco dopo le 13 nel cortile passeggio della terza sezione di alta sicurezza della Casa Circondariale di Bari, 41 detenuti appartenenti in gran parte al clan Strisciuglio e al clan Misceo, entrambi del «mandamento» del San Paolo partecipano ad una rissa. Se le danno di santa ragione. A far partire le danze appena si chiude la porta del corridoio di passeggio - stando alla ricostruzione degli inquirenti - è Leonardo Campanale che si avventa su Giuseppe Amoruso. Intervengono nella zuffa Giuseppe e Paolo Misceo, Rocco Masotti, Egidio Miglietta, Gacomo Campanale, Alessandro Ruta ed Emanuele Grimaldi. Il personale di vigilanza li divide ma non è in grado di stabilire chi ha preso le parti di chi. I feriti vengono portati in infermeria. Nel cortile, nei tombini di scolo, su alcune tettoie vengono trovati dei taglierini costruiti artigianalmente. Gli agenti della Penitenziaria raccolgono le dichiarazioni di coloro che hanno partecipato alla risa e riescono a capire che quella scazzottata tra «ex amici» era una dichiarazione di guerra. Tra i detenuti della terza sezione, tutti «figli della Luna» è iniziata una diaspora. Da una parte ci sono i fedelissimi al clan Strisciuglio, dall’altra gli scissionisti del gruppo Misceo. Sbolliti gli animi (si fa per dire) alcuni detenuti chiedono di essere trasferiti in un’altra sezione. Preferiscono dividere la cella con gente di clan che fino a quel momento erano stati nemici. La faida che alla fine vedrà i Misceo cacciati dal San Paolo è iniziata e avrà sviluppi drammatici. Ma la saggia divisione degli spazi carcerari secondo criteri di appartenenza a famiglie malavitose non è solo una caratteristica della Casa circondariale di Bari. Lo conferma la testimonianza di un pentito già appartenente al gruppo Misceo che racconta «Arrivato ad Altamura finì in una sezione gestita dagli Strisciuglio. Appena arrivato subii un pestaggio da parte loro. Mi fratturarono due costole e mi fecero degli ematomi sulla testa. Io alla Polizia penitenziaria dissi che ero caduto dal letto. Chiesi aiuto alla mia educatrice se lei mi poteva aiutare. Mi chiesi i nomi degli aggressori e io le dissi che nella mia posione non potevo farli. Dovevo tenere la bocca chiusa se tenevo alla pelle».

I retroscena delle indagini che hanno portato ai 99 arresti
Martedì 27 Aprile 2021, 15:01