Le festività sono finite e il 2021 entra nel vivo. Ma quanta differenza rispetto a un anno fa. C’è una situazione, quella del Covid, ancora non superata ma che impone comunque di darsi uno slancio di ripartenza.
I vescovi di Basilicata lo hanno sottolineato nel messaggio di Natale parlando di emergenza, sviluppo, carità, ambiente, necessità di programmazione per dare sollievo alla gente oramai allo stremo. E mons. Vincenzo Orofino, delegato della Conferenza Episcopale lucana per la carità, sa che solo il buon cuore delle persone, che pure non è mai mancato, non può bastare.
Mons. Orofino, c'è da fare ripartire un popolo...
Sicuramente noi non possiamo far finta che non sia successo niente: tantissime imprese hanno chiuso, il popolo è stato fiaccato da questa pandemia. La comunità ne risente, per cui c'è bisogno di un “ricominciare”, non un “ripartire”, e questo a livello ecclesiale, per noi, a livello motivazionale, per il mondo educativo, a livello economico e imprenditoriale per il mondo produttivo.
Ricominciare, sì, lo dicono e lo vogliono tutti; ma da dove?
Innanzitutto ricominciare dall’identità del popolo lucano, di questo popolo e di questo territorio e di ciò che sta reggendo anche in questi momenti di difficoltà. Ricominciamo, ma senza chiudere gli occhi, senza negare ciò che già c'è, ma per costruire meglio di come abbiamo fatto finora.
Ma cosa è che c’è già?
Innanzitutto un popolo capace di sacrifici, di rimboccarsi le maniche davanti a ogni difficoltà; un popolo generoso, con grandi valori. Ecco, il soggetto vero di questo ricominciare deve essere il popolo. E poi questo popolo ha a disposizione tante ricchezze, a partire dalla bellezza sia ambientale storica dei nostri territori. Penso a Tursi, dove ho sede come vescovo: recuperare la Rabatana e metterla in sintonia con il santuario dell’Anglona e col Metapontino e il suo sistema turistico creerebbe ricchezza vera. E poi c’è la ricchezza naturale e anche agricola di molte aree, e ancora la ricchezza del sottosuolo.
E qui la domanda è obbligata: ricchezza o problema?
Io inquadrerei il petrolio in sé e per sé come risorsa e non come problema. Poi, il problema è l'uso che ne facciamo: come viene estratto e come distribuiamo e utilizziamo i soldi che si ricavano. In questi anni le royalty le abbiamo impiegate per pagare debiti di comuni, università ecc. Ma quei soldi devono servire per creare lavoro su quel territorio che viene ferito e anche le compagnie petrolifere devono farsi promotrici di precisi, incidenti e strutturali investimenti nella nostra regione.
Il tema è il bilanciamento tra esigenze di sviluppo e di tutela?
Dobbiamo essere consapevoli che è necessario stabilire il giusto equilibrio tra la protezione della natura e la sua valorizzazione produttiva. È questa la “conversione ecologica” che porta a plasmare una chiara “cultura ecologica”, che, come insegna Papa Francesco, «è uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico». Il petrolio è una risorsa a tempo: tra 30 anni non avremo più il petrolio, ma un territorio con le ferite lasciate dall’attività estrattiva e occorre programmare nuove attività produttive che restino dopo. Allora sì che il petrolio ha prodotto qualcosa. Se viene estratto e portato via, e i soldi che ci vengono dati vengono redistribuiti male, quello è un danno ambientale che non ha ristoro. Se, invece, si creano strutture eco-compatibili che tutelino la salute e diano lavoro, allora è un'opera ben fatta.
Una critica a chi porta via la risorsa, ma anche agli stessi lucani...
Ma non una critica indistinta. Il popolo la sua parte la fa. A mio parere occorre qualificare meglio la guida di questo popolo. Mettiamoci tutti in discussione, compresi noi vescovi e sacerdoti: chiunque ha un compito di guida si lasci provocare da un sussulto di sano e generativo orgoglio costruttivo in ordine al bene comune. Il mondo politico deve darsi una mossa, guardare più in alto, con più profondità, assumersi delle responsabilità che vadano oltre l'immediato e il contingente. La politica ha il compito di progettare lo sviluppo. Tutta la politica. Maggioranza, opposizione, forze sociali, associazioni, devono mettersi in un movimento virtuoso, traendo dal popolo ciò che di più bello c'è nel popolo stesso.
E invece capita che su un popolo che prova a rialzarsi si abbatta l’ombra di un cimitero di scorie nucleari
E qui ritorniamo al richiamo alla politica: il governo nazionale non può decidere su una problematica così decisiva e incidente senza ascoltare le comunità interessate. I lucani hanno già manifestato a favore dell'integrità del proprio territorio. lo hanno fatto in modo chiaro e forte, uniti e con voce concorde, con il coinvolgimento attivo della Chiesa. E anche oggi la Chiesa conferma la difesa del territorio regionale da ogni tipo di inquinamento dannoso per salute, ambiente e vita comunitaria, che rappresenterebbe un pregiudizio per i secoli futuri e le future generazioni. C’è anche questo quando parlo di necessità di programmare e non di navigare a vista.
Programmare sì, ma ora c’è da far fronte a un’emergenza drammatica nell’immediato
Lo so, purtroppo, molto bene. Noi come Chiesa attraverso la Caritas siamo accanto a tutte le persone. Qualche giorno fa a Policoro abbiamo distribuito mille vasetti con la carne a più di 700 famiglie. Ma è ovvio che non si può vivere così. Non si può non dare risposte immediate a chi ha bisogni urgenti, ma nemmeno si può pensare solo a questo e condannare queste persone a una precarietà perenne. Occorre guardare avanti iniziando a operare già da oggi.
Un po’ il tema che si sta ponendo anche il Governo centrale
Io ho l'impressione che il Governo nazionale sia in crisi non per le posizioni di una qualche forza politica, ma perché non sa cosa fare. Assistiamo a un conflitto tra potere delle Regioni e potere nazionale, con le Regioni che soccombono e il potere centrale che accentra tutto e blocca l'Italia. Invece bisognerebbe veramente andare in aiuto di quelle imprese realmente ferite con misure che ne garantiscano la sopravvivenza. E mi spiego con un esempio: non è possibile che si tengano gli alberghi chiusi e li ristorino prendendo come parametro un periodo dello scorso anno in cui erano chiusi e non, ad esempio, il Natale saltato. E so anche di alcuni Comuni che fanno pagare i rifiuti agli alberghi chiusi. A volte manca proprio il buonsenso e non si capisce che non si abbandona il singolo, ma le possibilità di ripresa dell’intero sistema.
Purtroppo, però, sono difficoltà generali. In Basilicata cosa c’è di diverso?
In Basilicata abbiamo il vantaggio dei piccoli numeri, dei piccoli paesi che evita l'assembramento naturalmente. E possiamo anche meglio conoscerci, interpretare subito la difficoltà, dare soluzioni immediate. La piccola realtà, in questo caso può essere un vantaggio. A patto che ci sia chi è disposto a darsi da fare e anche a valorizzare per questo le risorse che abbiamo.
Perché, come andrebbero gestite le risorse che ci sono?
Come accennavo prima, con una programmazione coerente organica, strutturale e lungimirante. Per la Basilicata serve un progetto coerente con la realtà dove si progetta. una programmazione che guardi tutto il territorio regionale non solo una parte. Se chi governa guarda solo Potenza, Matera e al massimo Melfi per la Fca non governa la Basilicata ma tre città, mentre va valorizzata la vocazione di ogni singola zona. E torno a un esempio: Cirigliano, un piccolo paese, ha una vocazione d'industria della pietra così come Guardia. In quella realtà si può pensare a un polo specialistico, chi governa deve guardare tutti e ciascun territorio.
Un indirizzo per i fondi del Recovery plan?
Non ho pretese di dare indirizzi, ma certo penso che ora che arrivano i fondi messi in campo per questa emergenza occorre investire in opere strutturali, che cambino la situazioni attuale e diano nuova possibilità in modo lungimirante. Politiche che potenzino la rete digitale per dare ai nostri luoghi le medesime opportunità di quelli più sviluppati e incentivare anche tra noi lo smart working, il turismo di qualità e una più solida e articolata rete di comunicazione e di trasporti, che faccia definitivamente uscire la nostra Regione dall’isolamento geografico, comunicativo e culturale, da una sterile autoreferenzialità, da un dannoso vittimismo e da un pernicioso fatalismo. Non servono interventi a pioggia ma bisogna puntare su interventi che aumentino le potenzialità della Regione. In questo sforzo vanno coinvolti anche i soggetti economici e imprenditoriali..... strano che di economia ne parli un prete: ne devono parlar gli economisti! Vanno coinvolti quei soggetti che hanno dato già prova di riuscire a fare bene anche nella loro vita professionale, bisogna chiedere a questi soggetti quasi un'opera pedagogica: gli imprenditori che hanno dato prova di agire bene devono dare la loro esperienza ai giovani e produrre altre imprese. Ogni impresa deve produrre altre imprese, altro lavoro.
Una Basilicata da ripensare, da riorganizzare. E intanto si parla anche di riorganizzazione delle diocesi in lucane. Cosa succederà e quando?
Questo lo sa il buon Dio, o meglio, noi non lo sappiamo. Di certo c'è la volontà ferma del Papa di ridurre il numero delle diocesi in Italia perché sono tante. Ha dato un criterio di accorpare le diocesi con meno di 90mila abitanti. Se viene messo in atto almeno due diocesi rischiano. In realtà hanno già rischiato nel 2014. Ma l'azione concorde di noi vescovi (io all’epoca ero coinvolto direttamente perché ero a Tricarico) ha evitato questa chiusura che avrebbe riguardato Tricarico e Acerenza per essere chiari. In questi tempi il Papa è tornato a riproporre il tema. Non sappiamo di più, sappiamo che sta avvenendo in tanti regioni; la settimana scorsa in Emilia si è avuto un accorpamento tra Carpi e Modena, due realtà certo non piccole. Si porrà anche in Basilicata, ma non è nelle nostre mani. È una decisione che sta al Vaticano, al Papa direttamente. A noi tocca pregare, e se ci chiedono un parere lo daremo e sarà quello di mantenere tutte le attuali diocesi per dare un segno di speranza anche ai piccoli paesi. Ma lo faremo consapevoli dei limiti non tanto delle nostre possibilità quanto del nostro ruolo.