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«Nelle scuole temo più la paura»: parla Anna Cammalleri, direttrice Usr

 
Alberto Selvaggi

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Alberto Selvaggi

«Nelle scuole temo più la paura»: parla Anna Cammalleri, direttrice Usr

Nessun caos: i professori sono pronti alla sfida Covid

Lunedì 28 Settembre 2020, 12:27

Anna Cammalleri, lei è direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale della Puglia, punto di riferimento di tutti gli istituti della regione. Oggi, a prescindere dal Covid, secondo lei è più difficile fare il professore?
«La Scuola è parte della società e come tale ne fa proprie le aspettative interpretandole per la società del futuro. Non è una questione di difficoltà ma di altra complessità. La Scuola del dopoguerra portava in classe ragazzi e adulti per insegnare loro a leggere e scrivere nell’ottica di una nuova speranza di democrazia e pace, la scuola di oggi porta nelle classi ancora ragazzi e adulti per abilitarli a nuove conoscenze, o rigenerarle, nel caso di adulti. Ancora per una speranza di pace e di democrazia attiva».

Quindi, nella complessità che si sviluppa, la qualità dell’insegnamento migliora.
«Beh, direi che c’è un impegno ad un necessario continuo aggiornamento disciplinare e metodologico che ieri era meno necessario. Più che qualità maggiore o minore, è proprio diverso l’approccio in due modelli scolastici e sociali diversi».

Io direi invece che il dilagare dell’informatizzazione, acuito dal rischio pandemia, sta imponendo prove impossibili anche a chi ha dimestichezza coi computer. Didattica digitale integrata: indigestione.
«In medio stat virtus, direi io allora! I devices (dispositivi ndr) sono strumenti, e tali devono rimanere, direi anche imprescindibili e in vario modo utili. Resta la dimensione relazionale che è essa stessa elemento imprescindibile del processo formativo e di crescita».

In Puglia, riguardo al problema aule che non permettono il distanziamento necessario, siamo in una situazione migliore o peggiore di altre regioni?
«In questi mesi abbiamo lavorato incessantemente con EELL, Protezione Civile, Regione, dirigenti scolatici per trovare soluzioni, anche grazie ai finanziamenti a carico del PON edilizia. E ritengo che la Puglia oggi si colloca tra le regioni che hanno risolto le criticità. Sono pochissimi i casi di doppi turni».

Ho scoperto un mondo di sigle su una sempre più spaesante articolazione frazionata dell’istruzione. Ds, Dad, per il lockdown vero e proprio, Gruppo H, Bes, Dsa, Pdp, Fis, Pon, Pdm, Irc, Ptof che si distingue dal Pof non so come, proseguendo con il Pcto, Percorso per le competenze trasversali e l’orientamento. Non sarebbe meglio rendere più semplici le cose?
«Guardi, temo che il problema dell’utilizzo abbondante di acronimi sia un fatto che non riguarda solo la scuola. Sicuramente rende meno accessibile la conoscenza diffusiva delle cose, però non parlerei di “frazionamento”, visto che lei cita questo termine, bensì di necessità di identificare in maniera più specifica i destinatari dei percorsi e la progettualità a loro destinata. Le sigle che la impressionano tanto rappresentano, in via generale, il registro che delinea la personalizzazione del progetto formativo».

Contro il decadere del ruolo dei prof, meno pagati in Europa, rispettati assai meno di un tempo, quando non denunciati, o aggrediti negli istituti, secondo lei quali vie si potrebbero percorrere?
«È un problema serio che purtroppo rivolge ancora una volta lo sguardo verso la società. A cambiare il senso delle cose dovrebbero impegnarsi tutti: ciascuno di noi, la politica e anche la comunicazione».

La condizione già complessa, e non ho detto mica rovinosa, è aggravata dal signor Covid-19. Lei cosa teme di più?
«La paura».
Gli insegnanti anziani, che non sono pochi, come si destreggeranno nel mare ignoto di Google Suite per la didattica da remoto?
«Incredibilmente, e forse insospettabilmente, bene! Forse anche con un piglio proattivo che sta nella condizione psicologica di rigenerarsi».

È bello saperlo. Sulla cattedra c’è il registro cartaceo, oltre a quello elettronico: chi lo sanificherà a ogni cambio di ora?
«Ci sono protocolli sulle regole della igienizzazione, cosa differente dalla sanificazione, a carico dei collaboratori scolastici, per i quali ho autorizzato personale in deroga oltre ai finanziamenti dedicati per le nomine aggiuntive. Poi, l’uso degli igienizzanti per le mani rende tutti partecipi della pulizia dei materiali cartacei».

Le viene in mente qualcosa per migliorare le attuali condizioni?
«Oggi ci vuole più che mai un altissimo grado di consapevolezza individuale. Ciascuno deve fare la sua parte, dentro e fuori la scuola. Diversamente stiamo solo raccontando chiacchiere. Abbiamo poche armi contro un nemico che non conosciamo e non sappiamo dov’è: il distanziamento, la protezione del viso, l’igiene. Siamo tutti soldati in guerra, perché da solo non basta neanche il condottiero migliore».

Immagino le lezioni da remoto nei quartieri difficili quando si segue l’alternanza, in presenza e non. Immagino i bambini delle elementari, delle medie a casa, incontrollabili così giovani. Immagino genitori con quattro figli: acquistano quattro computer?
«Al momento non mi pare si sia stabilito un quadro così fosco. Il primo ciclo va in frequenza a scuola, il secondo anche con momenti di didattica integrata. E in ogni caso sono state assegnate risorse alle scuole anche per l’acquisto di supporti digitali».
L’anno scolastico passato, travolto dal ciclone virale funebre, mi risulta che i docenti abbiano promosso in massa. O no?
«Non esattamente. Ci sono stati casi di bocciature».

Ma c’è da tempo nella scuola una tendenza a essere di manica larga in tutto. S’è accresciuta da quando i presidi-manager mirano a ottenere più iscritti e più classi possibili, mediando, per la stessa ragione, in favore dei genitori nei contenziosi con il docente reo di avere assegnato la nota, inflitto una sospensione, respinto qualcuno. Secondo una dittatura di permissivismo auto-lesivo e anti-pedagogico.
«La sua domanda implica un retro-pensiero che credo dovrebbe rivolgere a chi direttamente cura la valutazione degli alunni».
Direttore Cammalleri, reputa che un approccio più rigido, diciamo all’antica, sortirebbe risultati migliori per tutti?
«L’approccio non deve essere né rigido né permissivo: deve essere giusto, equo e formativo».

Nel crollo d’autorità generato dalla cultura post-sessantottina coniugata con il consumismo diffuso, credo che il ruolo degli psicologi determini un indebolimento della personalità dei ragazzi ulteriore. Uso selvaggio dei Bisogni educativi speciali (Bes), più che dei Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa): basta una manifestazione di nervosismo e il certificato è pronto, una défaillance innocua e il Piano didattico personalizzato (Pdp) è in corso. O si evita la bocciatura.
«Le famiglie, i genitori devono credere nella scuola e soprattutto credere che la promozione “agevolata” di oggi non è sempre il successo di domani. Bisogna imparare a sapersi rialzare, cioè avere la consapevolezza delle criticità, piuttosto che la loro elusione. È un discorso difficile, lo so. Sono genitore anch’io. La collaborazione aperta e sincera tra genitori e docenti è fondamentale. Gli psicologi hanno un ruolo diverso».

Da quando le nuove regole hanno sdoganato la libera iniziativa, le scuole somigliano sempre più ad aziende: pubblicità stradale 6X3, peraltro pagata da noi trattandosi di scuole pubbliche, spettacoli, iniziative spesso inutili per la formazione, che però vengono proiettate su giornali e tv. Una ricerca di visibilità spasmodica. Che pensa di quest’andazzo? Giova?
«Riguardo alla pubblicità, invero legittima, personalmente opto per una scuola che faccia dell’orientamento un percorso significante piuttosto che pubblicitario».

Parecchi insegnanti hanno remore a bocciare: i genitori fanno subito accesso agli atti tramite avvocati e spesso la spuntano. Le cito uno studente riammesso dal Tar dopo una bocciatura in nove materie grazie a un vizio di forma.
«Ritorniamo sullo stesso punto. Il vizio di forma nell’attività amministrativa è nelle cose, giacché siamo in uno Stato di diritto, con tutte le conseguenze. Altro è stare anche, come scuola e come famiglia, più attenti al percorso del giovane, sostenerlo nei bisogni piuttosto che interessarsi soltanto dell’esito».

Esiste una classifica annuale delle scuole per provincia: Eduscopio. La prima cosa che fanno i genitori a inizio anno è consorziarsi in chat WhatsApp e dare giudizi su questo o quel prof, con app create a bella posta. Mi ricordano terribilmente i like di Facebook.
«Questa proprio non la sapevo. Mi ha insegnato qualcosa».

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