Nichi Vendola, lei si è esposto in favore di Michele Emiliano cui pure non ha mai risparmiato aspre critiche. Ma tenere lontani i sovranisti dal governo della Puglia è ragione sufficiente per una scelta di campo?
«Sono abituato a dire quello che penso e non ho l’abitudine di fare sconti al campo politico in cui milito, cioè il centrosinistra. Ma se Emiliano ha commesso degli errori questa non è una buona ragione per consegnare le chiavi della Puglia a un dinosauro come Fitto. Ricordo che Fitto è stato già al vertice della Regione per 10 anni: un decennio di malgoverno, di totale inerzia sul piano della promozione della Puglia nel mondo, di scandali giganteschi in ogni settore della vita regionale, di arroganza del potere. In più il Fitto di oggi ha archiviato le bandiere del moderatismo democristiano per arruolarsi in un esercito di sovranisti, e anche di razzisti, di fascisti, persino di negazionisti del Covid. Questi, sotto la guida della Lega di Salvini, sono pronti a varare quella “secessione dei ricchi” che chiamano autonomia differenziata: un colpo alla nuca del Sud e delle sue speranze».
Superfluo chiederle per che lista voterà...
«Voterò convintamente Puglia solidale e verde con la speranza che superi lo sbarramento perché oggi più che mai c’è bisogno di un punto di vista radicale».
Il fronte progressista, però, procede in ordine sparso in Puglia mentre a Roma cerca di rimanere unito. Qual è il futuro?
«Non ho la sfera di cristallo ma so che una nuova alleanza progressista può nascere solo da un progetto forte, direi visionario, di alternativa alle diseguaglianze, alla povertà, alle malattie sociali e ambientali. La bolla demagogica in cui vive il M5S non aiuta. E nemmeno la debolezza di un Pd senza bussola. Il futuro è di chi non ha paura di costruirlo».
A proposito di 5S, sospesi tra isolazionismo e alleanze, c’è qualche consiglio che si sente di dare loro?
«Non mi sento di dare consigli. Spero imparino dai loro errori, che maturino, che si liberino da tutto ciò che puzza di integralismo e populismo. Sono espressione di una grande domanda di cambiamento a cui dovrebbero rispondere con più cultura e non con più propaganda»
Qui in Puglia, almeno nei riferimenti, si è spaccato anche il mondo dei diritti con la corsa solitaria di Scalfarotto. Lui si è detto dispiaciuto per il suo appoggio a Emiliano...
«Ma Scalfarotto davvero non si accorge che i voti per lui possono essere decisivi per far vincere la destra? Pensa che consegnare la Puglia ai “fratelli d’Italia” renderebbe più forte la battaglia per i diritti?».
In tanti, nel Pd e fuori, si stanno appellando al voto disgiunto: si unisce al coro?
«Mi appello all’intelligenza delle persone: ricordate chi era Fitto? Ricordate la leggerezza con cui, giocando con i titoli tossici della finanza internazionale, stava portando la Puglia al fallimento? Ricordate la violenza e la follia di quel piano di riordino sanitario che ha ferito la salute dei pugliesi?»
Qualora il centrosinistra vincesse la contesa, quali gli errori da non commettere più?
«Se si vince occorre dare una rotta più chiara all’azione di governo, alzando la bandiera del Sud e della modernità; un Sud che non chiede elemosine ma chiede di essere protagonista nell’Europa che si congeda dagli anni terribili dell’austerity».
Ma, indipendentemente dal responso delle urne, cosa è rimasto oggi della Primavera pugliese? Il centrosinistra di Emiliano si muove in quel solco?
«La Primavera è stata una straordinaria semina di innovazione, libertà, creatività, partecipazioni: quei semi continuano a germogliare ancora oggi».
Capitolo referendum: può motivare il suo No?
«Il taglio dei parlamentari non è una riforma, è solo un taglio che rischia di lasciare senza voce i territori meno popolosi. A me non piace l’antiparlamentarismo e la sua retorica, sopratutto quando non propone nulla di nuovo nel sistema istituzionale».
Ritiene che l’esito del voto possa avere ripercussioni concrete sul Governo giallorosso?
«Non credo che ciò che accadrà nelle urne possa minare la stabilità del governo, sarebbe demenziale mettere in crisi non un esecutivo ma il Paese in un momento come questo».
Infine, agli Stati generali della Cgil ha paventato un suo ritorno in politica: ha già riflettuto sulle possibili modalità?
«Non sono mai uscito dalla passione politica. E, ripeto ancora una volta, ciò che farò io non è rilevante. Conta il “noi” almeno per chi pensa che la politica possa essere uno strumento di liberazione»