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Acqua allo stabilimento ex Ilva: Regione e Aqp a muso duro

 
MASSIMILIANO SCAGLIARINI

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MASSIMILIANO SCAGLIARINI

Acqua allo stabilimento ex Ilva: Regione e Aqp a muso duro

Lettera a Mittal: «Avete l’obbligo di utilizzare i reflui affinati e l’eventuale trattamento non può che essere a carico vostro»

Giovedì 13 Agosto 2020, 13:00

Bari - I costi dell’eventuale trattamento aggiuntivo sull’acqua in uscita dal Gennarini-Bellavista non possono che essere a carico di Arcelor Mittal. Regione e Acquedotto Pugliese respingono dunque al mittente le pretese dell’ex Ilva, che in una lettera della scorsa settimana indirizzata tra gli altri al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il tarantino Mario Turco, aveva sostanzialmente subordinato l’utilizzo dei reflui affinati all’interno dello stabilimento alla garanzia che questi avessero caratteristiche chimiche in linea con l’acqua oggi prelevata dal Sinni. Scaricandone la responsabilità, in ultima analisi, sul gestore della rete.

Ma la risposta che la Regione e Aqp hanno recapitato negli scorsi giorni al direttore dello stabilimento di Taranto lascia poco spazio alle interpretazioni. L’Autorizzazione integrata ambientale del 2011 - ricordano Regione e Acquedotto - impone che l’acciaieria utilizzi «prioritariamente» i reflui prodotti dai depuratori civili, a canone fisso (cioè non previa misurazione dei flussi) a carico dell’allora Ilva. Aqp ha proposto di consegnare l’acqua affinata allo stabilimento «senza costi», ma «gli oneri aggiuntivi di trattamento sostenuti dal gestore dell’impianto di recupero per conseguire eventualmente valori limite più restrittivi di quelli previsti» dalle tabelle ministeriali «non potranno che essere ovviamente a carico della società Arcelor Mittal Italia».

Il vantaggio della multinazionale indiana nell’utilizzo dei reflui affinati è evidentemente economico, perché oggi l’acqua prelevata dal Sinni andrebbe pagata all’Ente irrigazione, al costo storico fissato da un vecchio accordo tra Puglia e Basilicata (20 centesimi al metro cubo): moltiplicato per le quantità in gioco (parliamo di numeri variabili tra i 10 e 15 milioni di metri cubi l’anno) sono 2-3 milioni di euro l’anno. I reflui affinati costerebbero zero, salvo l’eventuale costo di super-affinamento che, fanno notare Regione e Aqp, «essendo ad esclusivo servizio» di Arcelor Mittal «non può in nessun caso gravare solo sulla collettività o essere finanziato solo con risorse pubbliche».

La partita sull’acqua dell’acciaieria non è secondaria, perché è fatta di spinte e contro-spinte. Emersa da un oblio decennale dopo una audizione dei commissari dell’ex Ilva al tavolo del Contratto di sviluppo, la questione ha infatti riacceso vecchie polemiche. Ma le pressioni per lasciare tutto così com’è hanno radici lontane da Taranto. Se non avesse più i soldi dell’ex Ilva, per esempio, l’eterno carrozzone dell’Ente irrigazione non saprebbe più come pagare gli stipendi. D’altro canto alimentare il ciclo produttivo dello stabilimento ionico con reflui affinati sarebbe comunque un esperimento, perché mai prima ad ora in Italia un impianto industriale di quella complessità ha rinunciato alle risorse idriche provenienti da una fonte primaria. D’altro canto però il progetto di ultra-affinamento delle acque dei depuratori Gennarini-Bellavista (di cui si parla da 10 anni) è sulla carta in grado di garantire acque con qualità addirittura superiore a quella prevista dal Dm 185/2003, dunque quasi potabile, e - soprattutto - permetterebbe di spostare l’acqua (buona) del Sinni agli usi potabili, liberando circa 500 metri cubi al secondo di picco che potrebbero risultare preziosissimi nelle fasi di crisi, cioè quando gli invasi lucani sono vuoti. 

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