Bari - In Puglia l’indice di riproducibilità (Rt, cioè il numero di infezioni secondarie prodotte da ciascun paziente infetto) è ancora saldamente maggiore di uno, ma con un trend in discesa che fa ben sperare. Lo dice uno studio pubblicato ieri dall’Istituto superiore di sanità insieme alla Fondazione Bruno Kessler di Trento, che ha esaminato l’andamento dell’epidemia fino al 24 marzo in sei regioni italiane: le misure di contenimento - secondo lo studio - stanno avendo un impatto decisivo.
L’indice «R» è fondamentale nella valutazione dell’andamento dell’epidemia: se è minore di uno significa che la catena dei contagi è destinata a spegnersi, viceversa la malattia continua ad espandersi: la valutazione di questo indice si fa su base statistica, utilizzando modelli matematici, è può essere effettuata soltanto a posteriori. In Puglia il valore di «R0» (cioè l’indice di riproducibilità di base, all’inizio dell’epidemia) era pari a 2,61 con un tempo di raddoppio dei casi pari a 2,9 giorni, e l’indice di riproducibilità ha toccato il picco massimo (oltre 3) il 28 febbraio: il 12 marzo (ultimo giorno preso in esame) era sotto quota due, ma con un trend di discesa cominciato già da aluni giorni. I ricercatori hanno classificato la Puglia tra le aree in cui l’epidemia ha avuto un andamento intermedio, tra le emergenze di Lombardia ed Emilia-Romagna e il picco più basso (quello registrato nel Lazio): la trasmissione dell’infezione - secondo lo studio - è stata «in gran parte non rilevata» fino a primi giorni di marzo, quando l’indice di riproducibilità ha cominciato a calare per effetto «dell’implementazione delle misure di distanziamento».
Ieri l’Iss ha anche pubblicato uno studio sull’andamento del contagio in provincia di Foggia. Secondo il rapporto (predisposto dall’Università in collaborazione con la Asl, i «Riuniti» e i laboratori del territorio), nell’ultima settimana di marzo la metà dei nuovi positivi in provincia di Foggia era dovuta a focolai scoppiati negli ospedali oppure nelle Rsa: a fronte di 202 casi registrati tra il 23 e il 29 marzo, 78 sono stati scoperti nelle Rsa e nelle strutture di lungodegenza e 44 all’interno degli ospedali. Un trend che si è confermato anche nella settimana successiva, tra il 30 marzo e il 5 aprile: 160 i nuovi casi, 43 quelli nelle Rsa, 41 quelli sviluppati in ambiente ospedaliero.
L’elaborazione dei dati in provincia di Foggia è particolarmente interessante perché è la prima volta che, dall’inizio dell’emergenza, sono disponibili dati su contagi e decessi su base comunale. Il maggior numero di casi (il dato è aggiornato al 5 aprile quando i casi positivi erano 603 con 65 morti) si è verificato a San Giovanni Rotondo, con 105 contagi e 10 decessi, mentre nel capoluogo i casi sono 90 con 6 decessi. Particolarmente alti i dati di Cerignola (46 casi e 8 decessi), della piccola Bovino (33 casi e 2 decessi) e di Manfredonia (32 casi e 3 decessi), mentre appare sotto controllo la situazione di San Marco in Lamis (il paese che secondo il governatore Michele Emiliano poteva essere la Codogno pugliese, e dove venerdì sera oltre cento persone hanno partecipato a una processione religiosa in strada): 29 contagi e 3 decessi.
Lo studio dell’Università di Foggia ha poi fatto emergere 136 casi confermati di positività tra il persona sanitario, con tre decessi e 11 guarigioni cliniche (cioè con doppio tampone negativo): la gran parte dei casi (101) è stata gestita con isolamento domiciliare. L’età media dei contagi tra il personale sanitario è di 45 anni.