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Dal virus occasione per la Rete, tra videochiamate e riduzione della distanza

 
Gaetano Campione

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Gaetano Campione

Bari, dal virus occasione per la Rete, tra videochiamate e riduzione della distanza

Il prof. Donato Malerba: «In Puglia mancano ancora le condizioni strutturali»

Sabato 11 Aprile 2020, 14:19

L’oceano digitale? Un'altra occasione per salire sul treno dello sviluppo. A patto di saper nuotare. Perché la Puglia e il Mezzogiorno accusano già il «fiatone» in questa prova strategica nell'affrontare al meglio le sfide della globalizzazione. C'è, insomma, il rischio di essere digitalmente emarginati - il 30 per cento dei pugliesi non utilizza Internet e la Rete, il 41 per cento non ha un computer, meno di un terzo della popolazione si serve di servizi come l'home banking e meno del 15 per cento invia moduli amministrativi in forma digitale - con la forbice del progresso pronta ad allargarsi ancora di più tra Nord e Sud.

L'affresco non è dei migliori. Tenendo anche presente che la banda larga copre l'81,5 % delle unità immobiliari regionali e la banda ultralarga solo il 6,4%, e che a gennaio il 91 per cento dei 258 Comuni non aveva ancora firmato la convenzione con il concessionario selezionato con bando di gara, per la realizzazione del progetto della banda ultralarga.

Eppure se non ci fosse stata la Rete con le sue videochiamate, con la possibilità di trasmettere dati, l'isolamento ai tempi del coronavirus, sarebbe stato totale. La tecnologia ci ha consentito, comunque, di socializzare, di mantenere i contatti, di lavorare da casa. Insomma, di ridurre una buona parte dei disagi legati all'emergenza sanitaria.

Il Dipartimento di informatica dell'Università di Bari è un osservatorio privilegiato per cercare di comprendere i problemi ma anche le potenzialità dell'oceano digitale. Il direttore, Donato Malerba, ha appena terminato una doppia sezione di esami con 40 studenti, resa possibile proprio grazie alle videoconferenze.

Professore, questo salto in avanti porta più gioie o dolori?
«Per noi l'uso delle videoconferenze non è certo una novità. Chi opera nel campo della ricerca ha contatti quotidiani con questa tecnologia. In questo momento ho due collaboratori a Lubiana e a Washington con i quali interagisco proprio grazie ad essa. In questi giorni abbiamo semplicemente allargato il suo utilizzo alla didattica a distanza, dalle lezioni alle sedute di laurea. Senza dimenticare il coordinamento dell'attività amministrativa del Dipartimento: riunioni a distanza, oltre alle mail, scambio di documenti, e firme digitali. Il bilancio è positivo. Con qualcosa sempre da rimodulare».

Partiamo dai vantaggi?
«Con le videoconferenze si riducono notevolmente i costi e gli spostamenti. Quindi c'è un minor impatto ambientale. Poi, si valorizza di più il lavoro di squadra, si migliora la comunicazione rispetto alle chiamate tradizionali perché si nota il linguaggio del corpo, si incrementa la produttività, si ottimizzano i tempi, c'è una maggior flessibilità, si può assicurare continuità. A volte può capitare che un incontro, programmato in presenza, salti all'ultimo momento per un imprevisto del relatore più importante. Con la videoconferenza diventa difficile una ipotesi del genere».

Cosa invece non va?
«Stiamo sperimentando i limiti della tecnologia attuale. Penso ai ritardi nella trasmissione di una schermata condivisa durante una lezione e agli effetti metallici del sonoro se non c'è una buona Rete. Quando i numeri crescono può essere difficile gestire al meglio la comunicazione. Devono cambiare le abitudini, come quella di parlare uno alla volta. E poi c'è la riduzione della privacy da non sottovalutare. Le comunicazioni possono avvenire in un ambiente privato. Questo potrebbe creare imbarazzo. Così come manca il controllo dell'ambiente quando si sostiene una prova davanti ad una telecamera. E' uno dei limiti della tecnologia. Con la realtà virtuale e con la Rete 5G li supereremo».

Dopo il coronavirus non tutto tornerà come prima. E' d'accordo?
«Certo. A livello di Università siamo già proiettati verso una nuova fase. Questa esperienza tecnologica lascerà un segno indelebile».

Qual è lo stato di salute digitale della Puglia?
«Dobbiamo ancora compiere molti passi in avanti. L'obiettivo europeo del 2020 che avrebbe consentito al 100 per cento della popolazione di navigare su Internet, grazie alla banda ultralarga, è ancora lontano. In Italia nella copertura di telefonia mobile, nonostante le caratteristiche geomorfologiche del Paese non ci aiutino, siamo tra i primi posti in Europa. Con Internet, siamo in fondo alla classifica. L'Agenda digitale della Puglia può contare su 100 milioni di euro. Ma non mi sembra ci siano stati progressi significativi in tal senso. Penso vada rivista la politica di sviluppo digitale regionale per il bene della nostra terra. Il sistema pubblico della ricerca potrebbe contribuire al controllo di qualità: non dimentichiamo che dietro questa partita ci sono i grandi accordi aziendali, milioni di euro per le imprese. Ci dobbiamo chiedere cosa lasceranno questi investimenti sul territorio».

Fatta la rete, bisogna formare i pugliesi digitali?
«Mancano ancora le condizioni strutturali. Se riuscissimo a migliorarle andremmo incontro alla soluzione del problema. Poi c'è l'analfabetismo funzionale digitale legato all'assenza di una politica di sviluppo ad ampio spettro. Manca ancora una motivazione per l'utilizzo di Internet: perché mi devo collegare? Infine, sono poco usati i servizi digitali. Meno servizi si utilizzano, meno le imprese sono motivate a crearli. E' il tipico caso del serpente che si morde la coda».

Chi si dovrebbe occupare della formazione dei cittadini digitali?
«Un importante ruolo motivazionale lo hanno i media. Finora enfatizzano troppo gli aspetti negativi della Rete. Chi già utilizzava un computer non ha avuto nessuna difficoltà a continuare a farlo anche in regime di isolamento. Siamo di fronte ad una scommessa da vincere a tutti i costi. L'alfabetismo digitale fa emergere le differenze sociali e di genere. L'informatica è poco seguita dalle donne perché ritenuta una materia prettamente maschile. Lo sa che i miei studenti hanno un posto di lavoro già qualche mese prima di laurearsi? Oggi ci sono opportunità inimmaginabili di crescita, di sviluppo, di occupazione legate alla tecnologia. Purtroppo si paga nel nostro Paese anche lo storico predominio della cultura umanistica rispetto a quella scientifica e tecnologica: la competizione globale è molto forte e occorre che nell'orchestra suonino tutti gli strumenti, in armonia».

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