Il «freno a mano» messo dall’emergenza Coronavirus a bar, ristoranti, discoteche, stabilimenti balneari, in Puglia porterà a una perdita di consumo di 1 miliardo di euro nel 2020 e di 190mila euro in Basilicata. La stima è della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe-Confcommercio), che sottolinea come queste attività «oltre ad essere un luogo di servizio, di convivialità, di confronto, lo sono anche di lavoro e di produzione di ricchezza», sono «un comparto decisivo della filiera agroalimentare e del turismo» sia «per il contributo fornito alla creazione di valore» sia perché «mercato di sbocco rilevante per le produzioni agroalimentari nazionali». Proprio per valutare l’impatto sull’economia reale del Paese, il Centro studi Fipe ha appena condotto (27 marzo-2 aprile) il monitoraggio «Coronavirus: l’impatto sui pubblici esercizi». Emerge che le prime tre priorità di queste imprese sono, nell’ordine, il problema del pagamento: degli stipendi dei dipendenti, dei contributi e dei fornitori. In altri termini, è il profilo finanziario a levare il sonno agli operatori.
Nel 30,6% dei casi - continua la ricerca - le aziende hanno fatto ricorso alla cassa integrazione in deroga, alla sospensione di prestiti e mutui (25%), alla cassa integrazione/FIS (20,3%) e alla sospensione del pagamento dei tributi (18,7%). Ad oggi, inoltre, «il 60% delle attività si svolge in locali in affitto e il 56% sta già avendo problemi nel pagamento del canone di locazione».
Le misure messe in campo dal Conte II? «Il 96% delle imprese» le ritiene «insufficienti». In particolare «avrebbero bisogno di disporre di liquidità immediata per coprire i mancati incassi, o poter accedere al credito con interessi zero o quantomeno agevolati, o che fossero annullati completamente il pagamento di tasse e contributi».
Nonostante le consegne a domicilio siano consentite (l’asporto invece è vietato), soltanto una risicata minoranza sta utilizzando questa possibilità. «Ad oggi – spiega il monitoraggio Fipe - l’85,5% delle imprese che potrebbero svolgere l’attività limitatamente al solo servizio di consegna a domicilio (principalmente ristoranti, pizzerie, pasticcerie) è completamente chiuso e il restante 14,5% sta cercando di reinventarsi il lavoro proprio mediante la consegna di cibo a domicilio (delivery), di questi il 6,3% si sta attivando per la Pasqua. La maggioranza (80%) svolge il servizio di consegna in proprio, avvalendosi dei dipendenti in forza che altrimenti sarebbero “a spasso”. Il servizio per l’80% degli intervistati è poco o per nulla efficace sul piano economico ma d’altra parte per molti di coloro che lo hanno avviato gli obiettivi principali sono il mantenimento della relazione con i clienti e il personale e di non spegnere totalmente il motore dell’azienda». A proposito dei dipendenti, il 30% delle aziende intervistate dalla Fipe ha dichiarato «che alla riapertura non potrà tenere tutto il personale attualmente in forza».
Un parametro che, se fosse applicato alla Puglia, equivarrebbe a 28.148 nuovi disoccupati e fino a 12.211 tra Bari e provincia. Una prospettiva preoccupante, soprattutto perché è al netto quella fetta (presumibilmente non piccola) di lavoratori irregolari o «a nero».
Come si accennava, Fipe, su richiesta de «La Gazzetta del Mezzogiorno», ha anche elaborato le conseguenze apulo-lucane di questa crisi e oggi stima «una perdita di consumo di 1 miliardo di euro nel 2020 (-30%) in Puglia» e «di 190mila euro (-35%) in Basilicata» ma, precisano gli esperti, «molto dipenderà da un eventuale rimbalzo nel II semestre dell’anno».
Altri effetti dell’emergenza? Per Maurizio Pasca, imprenditore salentino e vicepresidente Fipe, dopo questa crisi «l’improvvisazione scomparirà e non solo nel nostro settore. Sul mercato rimarrà chi ha innanzitutto una solidità economica (chi è pieno di debiti non ce la farà a superare una crisi di queste proporzioni), e anche chi si è distinto nel gestire con professionalità». Secondo Pasca, «negli ultimi anni ci sono stati decine di casi di mamme e papà che andavano in pensione e aprivano un bar o un ristorante al figlio, improvvisando il mestiere. Hanno “inquinato” il settore, con tutte le conseguenze. In particolar modo al Meridione. Perché al Nord c’è più formazione degli operatori imprenditoriali, c’è più professionalità, mentre qui si punta tutto sulle nostre capacità personali. Questa crisi lascerà il segno e bisognerà incominciare a convivere con questi virus perché oggi c’è il Covid-19 domani sarà il 20 e il 21. Deve essere di insegnamento per non trovarci sprovvisti quando ricapiterà».