iLa guida dell’Autorità di gestione del Programma di sviluppo rurale cambia di nuovo, per la terza volta in dieci mesi. E questo nonostante il 10 luglio, dopo le dimissioni dell’assessore Leo Di Gioia, il governatore Michele Emiliano avesse garantito che il precedente responsabile, il dirigente Luca Limongelli, «ha comunicato di ritirare la domanda di pensionamento». Invece il 30 ottobre Limongelli ha lasciato la Regione, nel pieno del caos per la gestione dei fondi europei per l’agricoltura che vanno incontro a un disimpegno ormai certo.
E così, dopo aver scaricato a dicembre il capo dipartimento Gianluca Nardone per passare a Limongelli, la Regione ha affidato l’Autorità di gestione all’unica dirigente che si è dichiarata disponibile, Rosa Fiore, che però non ha alcuna esperienza specifica e dovrà dividersi con l’incarico di coordinamento del tavolo delle Regioni sull’agricoltura. Aria di disimpegno, dunque, proprio mentre continuano a piovere sulla Regione sentenze del Tar che fanno a pezzi le ultime decisioni sul Psr.
I giudici amministrativi (Terza sezione) hanno infatti sospeso la circolare con cui il 7 giugno proprio Limongelli, nell’estremo e disperato tentativo di sbloccare i pagamenti aveva manomesso le regole operative del bando per le misure infrastrutturali 6.1 e 4.1a, quella che solo pochi giorni fa è stata oggetto di un’altra pronuncia cautelare. In sostanza, la Regione aveva stabilito che le imprese non dovevano più presentare una serie di documenti contestualmente alla richiesta di contributo, ma potevano rinviare l’adempimento ai successivi sei mesi. Tra questi documenti ci sono il Durc e la dichiarazione di sostenibilità finanziaria, ovvero l’attestazione che l’investimento proposto (con fondi pubblici) ha un senso economico.
Una decisione che era stata presa con le migliori intenzioni (pagare velocemente), anche se con conseguenze non proprio neutre, perché ha fatto rientrare chi è stato escluso dalla graduatoria per mancanza della dichiarazione escludendo invece chi attendeva di rientrare in conseguenza di queste esclusioni. Ed infatti a rivolgersi al Tar sono state proprio alcune imprese inserite in graduatoria in posizione non utile: i giudici amministrativi (relatore Di Bello) sono intervenuti «al fine di scongiurare possibili disparità di trattamento», e rilevando ancora una volta la «parzialità dell’attività istruttoria svolta dall’autorità regionale».
Anche chi ha presentato quest’ultimo ricorso, così come le imprese che invece avevano impugnato la graduatoria di marzo della misura 4.1a, sono state ammesse con riserva. È vero che - come ha rilevato mercoledì la Regione - né questa ordinanza né quelle dell’altro giorno bloccano la graduatoria e impediscono di pagare. Ma questo vale solo in teoria, perché in pratica sarà difficile che la struttura dell’assessorato firmi liquidazioni di contributi che potrebbero essere disimpegnati senza un meccanismo di salvaguardia (la Regione ha annunciato la disponibilità di fondi extra).
E dunque il problema resta. Entro fine anno la Puglia dovrebbe spendere 260 milioni di euro per centrare l’obiettivo di spesa del Psr, che vale in totale 1,4 miliardi: circa 500 milioni sono concentrati sulle misure infrastrutturali (i contributi diretti agli agricoltori). Prima di lasciare, Limongelli aveva stimato che senza 4.1a si potesse arrivare a circa 100 milioni, causando il disimpegno di circa 160 milioni. L’unica possibilità è che Bruxelles riconosca la causa di forza maggiore (le sentenze del Tar) e consenta alla Puglia di rimodulare i budget.