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Aggressione al Riuniti di Foggia, dopo la sorella della 23enne morta parla la dottoressa: «Non è più vita la nostra»

 
Redazione online

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A Foggia la cardiochirurgiacolmato un divario storico

Ospedali Riuniti di Foggia

Lo sfogo sui social di Flaminia Mangano, medico di guardia la sera del 4 settembre al policlinico di Foggia: «I nemici non siamo noi»

Lunedì 09 Settembre 2024, 16:11

11 Settembre 2024, 12:43

FOGGIA - Una lunga lettera aperta sui social, un avvertimento a non considerare mai legittima la violenza contro il personale sanitario, neppure quando si è presi dal «dolore più cupo», perché «i nemici non siamo noi medici», ormai "pochi e demotivati», in una sanità «al collasso» in cui la "situazione è sfuggita di mano». A parlare in n lungo post su Fb è Flaminia Mangano, medico di guardia la sera del 4 settembre al policlinico di Foggia dove il personale sanitario del reparto di chirurgia toracica è stato aggredito dai parenti della 23enne Natascha, morta durante un intervento. Mangano ricorda alcuni punti di un lungo post di Tatiana, sorella della vittima, e spiega che venire in ospedale «'a fare la guerra peggio di Gomorrà, come leggo in quella lettera, deve essere un’opzione non ammissibile».

La dottoressa evidenzia che a Natascha, curata dallo scorso giugno nell’ospedale di Foggia dopo un «gravissimo incidente stradale», era stata salvata la vita con un intervento di «neurochirurgia» e poi, anche «grazie ai protocolli e alle cure del caso, era riuscita a rimettersi in piedi». Natascha, prosegue, era in attesa di un trasferimento in una struttura specializzata per subire un intervento per il quale, «nel nostro policlinico non era stata maturata una sufficiente esperienza». Poi, però, accade «l'imprevisto che fa tremare le vene ai polsi anche ai medici» e da qui la «necessità di intervenire d’urgenza per scongiurare il peggio».

«Datemi retta - sottolinea - nessuno al mondo si sarebbe voluto trovare al posto di quei colleghi. La lotta tra la vita e la morte. L’adrenalina in sala, il fermento del personale tutto, le grida, le imprecazioni, la paura. Perché la morte è spaventosa».
La lunga lettera si conclude con le parole che Mangano dice di aver sentito «ieri da una signora che, lamentandosi della presunta attesa di qualche minuto per un esame al figlioletto, in perfetta buona salute, mi ha detto, cavalcando vergognosamente l’onda dei tragici eventi dei giorni scorsi, 'fanno bene poi, quando vi menano». «Non è più vita la nostra in ospedale - conclude -. Servono misure efficaci. Siamo ad un punto di non ritorno».

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