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L'ex boss viestano Marco Raduano: «Tradii i Libergolis quando uccisero mio cognato»

 
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L'ex boss Raduano: «Uccisero mio cognato e io tradii i Libergolis»

Neo collaboratore di Giustizia, Raduano, 40 anni, catturato a Bastia in Francia dopo un anno di latitanza dopo l’evasione dal carcere di Nuoro, racconta

Martedì 09 Aprile 2024, 12:41

VIESTE - Fu dopo l’omicidio del cognato Giampiero Vescera assassinato a Vieste il 3 settembre 2016 nella guerra di mafia locale tra il clan Raduano e i rivali Perna/Iannoli, che Marco Raduano decise di lasciare il clan Libergolis e passare con i rivali Lombardi/Ricucci/La Torre, ex gruppo Romito. L’ha raccontato alla Dda Raduano, 40 anni, ex boss viestano, catturato a Bastia in Francia ai primi di febbraio dopo un anno di latitanza in seguito all’evasione dal carcere di Nuoro del 24 febbraio 2016, e da meno di un mese neo collaboratore di Giustizia. Sconta una condanna a 19 anni per traffico di droga aggravato dalla mafiosità; è stato condannato in primo grado all’ergastolo nel maxi-processo «Omnia nostra» per mafia, 2 omicidi e 1 tentato omicidio.

Le dichiarazioni rese il 3 aprile scorso dal neo collaboratore di Giustizia a Dda e investigatori sono state depositate dal pm Ettore Cardinali a disposizione di imputati e difensori del processo «Omnia nostra» al clan Ricucci/Lombardi/La Torre. L’inchiesta (32 arresti nel blitz del 7 ottobre 2021) conta 45 imputati, si è divisa in tre tronconi: abbreviato per 19 persone condannate dal gup di Bari lo scorso ottobre a 166 anni complessivi e 1 ergastolo; rito ordinario per 24 in corso in Tribunale a Foggia dal 26 gennaio 2023; processo per ulteriori 2 imputati in corte d’assise a Foggia iniziato a febbraio 2022.

«Ho commesso 5/6 omicidi, ma sono coinvolto in più di dieci, tutti di mafia; e la maggior parte sono susseguenti al mio tentato omicidio» (21 marzo 2018 a Vieste) «A Vieste - ha detto Raduano ero il capo del mio clan contrapposto a Perna/Iannoli; il mio gruppo era alleato ai Lombardi/Ricucci/La Torre ex gruppo Romito, a loro volta alleati con il clan Moretti di Foggia. Entrai a far parte del gruppo dopo l’omicidio di mio cognato Vescera (settembre 2016) per contrastare il gruppo di Miucci; fino a quel momento avevo fatto parte del gruppo Libergolis/Miucci. Conoscevo da anni Matteo Lombardi e Pasquale Ricucci» (quest’ultimo ucciso a Macchia a novembre 2019 nella guerra con i Libergolis) «perché li ho aiutati diverse volte su Vieste. All’epoca del mio ingresso Mario Luciano Romito era vivo» (fu ucciso il 9 agosto 2017 nella strage di mafia garganica con 4 vittime vicino San Marco in Lamis) «ma detenuto: suoi pari erano Ricucci e Lombardi. Dopo l’omicidio di mio cognato mi sono accreditato con loro dicendogli tutti i particolari sul gruppo Miucci. All’inizio erano diffidenti, ma poi hanno visto che gli ho riferito tanti particolari utili e inerenti ai pericoli che correvano. Durante la mia detenzione Girolamo Perna» (ucciso a Vieste a aprile 2019) «si era avvicinato a Miucci per il quale compì varie azioni».

A dire di Raduano il gruppo Lombardi/Ricucci/La Torre «faceva omicidi, rapine a portavalori anche in diverse parti d’Italia, aveva il controllo della droga, faceva estorsioni ed era inserito nel mercato ittico. Su Mattinata il gruppo era composto da Francesco Scirpoli che faceva le veci di Mario Luciano Romito; i fratelli Andrea e Antonio Quitadamo» (pentiti) «Francesco Notarangelo; Pio Gentile» (ucciso) «e l’influenza mafiosa del gruppo, intesa come capacità di controllo del territorio guadagnata con omicidi e estorsioni, era su tutto il Gargano», Quanto al sostentamento delle famiglie in caso di arresti, «ci siamo sempre aiutati a vicenda; io a Vieste avevo imposto che ci occupassimo delle spese legali e di uno stipendio alle famiglie; i soldi arrivavano dalla droga».

«I proventi delle rapine ai portavalori erano reinvestiti nell’acquisto di mucche. In particolare Scirpoli, i Quitadamo, La Torre e Ricucci imponevano il controllo del Gargano attraverso le vacche che mantenevano allo stato brado: era un mezzo per delimitare i territori di appartenenza, un’imposizione fatta a tutta la popolazione e chi si sottraeva o denunciava veniva minacciato o subiva danneggiamenti. Di Lombardi so che investiva i suoi soldi nel campo delle auto: per giustificare il proprio patrimonio si preoccupava di avere attività di copertura».

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