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Ballottaggi «amari»: è tempo di rivalutare le elezioni comunali

Ballottaggi «amari»: è tempo di rivalutare le elezioni comunali

 
Ettore Jorio

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Ettore Jorio

I ballottaggi? Sarebbe meglio abolirli subito

Ad urne chiuse, con ballottaggi venuti peggio del primo turno sul piano della corsa al voto, rimane dentro in po’ di amarezza, figlia di quella errata convinzione che «tanto sono votazioni amministrative, che vuoi che contino sul panorama politico nazionale?»

Giovedì 12 Giugno 2025, 14:00

Ad urne chiuse, con ballottaggi venuti peggio del primo turno sul piano della corsa al voto, rimane dentro in po’ di amarezza, figlia di quella errata convinzione che «tanto sono votazioni amministrative, che vuoi che contino sul panorama politico nazionale?».

Non sono mai stato convinto di questo. I Comuni sono la sede ove la collettività nasce, vive e muore. In quanto tali rappresentano il dove è giusto pretendere che si realizzi il nuovo migliore per la collettività. Da qui, la gratificante corsa al voto al primo turno e le incoraggianti intervenute elezioni dei sindaci portatori di programmi con le ali. Sì, con le ali come il gabbiano di Giorgio Gaber, ma più robuste. Da qui ancora, la sconfitta dei partiti e dei gruppi di potere spesso anche impropri, inquinanti e inquinati, oramai dominanti e rovinosi di ciò che resta delle gloriose formazioni politiche di un tempo.

Ogni elezione, fosse anche dell’associazione dei reduci di un mondo che non c’è più, ha bisogno di letture. Ed è qui che le direzioni di analisi sono due. Hanno vinto al primo turno in pochi nei Comuni oltre i 30mila abitanti.

Pochissimi lo hanno fatto: per gli abili giovani proposti e contrapposti al vecchio (la città dei camalli, Genova); per storia e tradizione (la città delle spoglie di Dante, Ravenna); per candidati pieni di storia politica ma abili nel mettere a confronto e in contrapposizione a tutti un progetto nuovo, capace di volare (la città esempio «svedese» della migliore urbanistica degli anni ‘70/80, Rende).

Tantissimi sono andati al ballottaggio per assenza di proposte, soprattutto di quelle non affatto trascurabili, che però in pochi sono capaci anche di immaginare.

Su tutte le città quella che ha fatto più male è stata Taranto. Da città espressione di un Sud impegnato, fatto di importanti insediamenti difensivi militari e industriali, nati nella aspettativa di realizzare una splendida convivenza con l’ambiente e il paesaggio, è divenuto il peggiore degli esempi urbani. Una città che è divenuta, nell’incuranza della politica di ogni livello, un ambiente maledetto e condannato a sopportare patologie oncologiche seriali, invadenti le famiglie quelle che, nonostante i lutti, sono finanche afflitte dal pericolo della disoccupazione. E già, perché l’Ilva da speranza del passato, è divenuta il dramma del presente. La condanna del futuro occupazionale, con un grave danno per la incurata produzione nazionale dell’acciaio, che registra peraltro una domanda forte in borsa verso i produttori europei. Lo dimostra, a seguito della sparate del tycoon Usa, l’impennata in borsa dei rispettivi titoli azionari. Ma tutto ciò i partiti non lo sanno! Oggi la sinistra ha vinto sperando che non riesca tuttavia a perdere con la storia che vigilerà sulla Taranto che tutta l’Italia vuole.

Al riguardo, prendendo ad esempio Taranto, emergono i partiti che non ci sono più, se non per fare sgraziate cerimonie di protesta senza risultati. Appaiono uguali i sindacati, intempestivi a curare i mali, tanto da essere sostenuti dal contributo economico dei pensionati che sostengono un ceto dirigente inadeguato e sbraitante.

Insomma, una regola uscita dalle urne che preoccupa. Ciò basta per considerare le elezioni amministrative collocate ad un girone del Purgatorio condannate a «e lì vid’io de le mie vene farsi in terra laco». Necessita invece rivalutarle come occorre, pena una distribuzione cinica del peggiore vivere comune. Se mai, deve avvenire il contrario, tenendo conto dell’insediamento a regime e dell’insegnamento del criterio europeo della sussidiarietà. Quel principio che pretende la soddisfazione delle esigenze pubbliche nei siti istituzionali più vicini ai cittadini. Un collocamento strategico del voto e del consenso che deve essere da guida per le politiche statali e regionali più utili a migliorare indistintamente la vita, il quotidiano della Nazione. Specie di quella meridionale.

Un modo, questo, che richiederà nuove formule di partecipazione alle politiche territoriali e forse l’istituzione di una guida Michelin dei primi cittadini. Magari, attribuendo loro: una fascia, due fasce e tre fasce.

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