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Dal caso Delli Noci passa il futuro del «sistema Emiliano»

 
danilo lupo

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danilo lupo

Tutti pensano al dopo Emiliano: Delli Noci può sfidare Decaro

Reggerà questa accusa davanti al gip, e poi eventualmente davanti alla corte? Il tribunale dei social ha paradossalmente già emesso la sua sentenza di assoluzione

Martedì 10 Giugno 2025, 13:06

«Io sono una persona per bene» mi urlò al telefono Alessandro Delli Noci quel pomeriggio di 15 anni fa. Era da poco andata in onda l’inchiesta televisiva sulla Galassia Laforgia e in particolare il groviglio di società che legava il giovane Delli Noci, ancora privo di ruoli pubblici, e Maurizio Laforgia, figlio dell’allora rettore dell’Università del Salento. Aziende spin-off dell’ateneo salentino i cui nomi (Eka, Amema) ho visto ritornare nelle oltre mille pagine che motivano la richiesta di arresto domiciliare per i due ingegneri.

Le due vicende sono diverse ma il contesto è simile. Alessandro Delli Noci, una volta intrapresa la carriera politica, è formalmente uscito da quelle società con il figlio del rettore. Ma non è uscito da quello che pudicamente veniva chiamato allora «network collaborativo» e che oggi nelle intercettazioni viene chiamato da Maurizio Laforgia con un nome più appropriato: lobby. Cioè un grumo di potere politico, tecnico ed economico in grado di condizionare le scelte dei decisori e quindi i vantaggi che la pubblica amministrazione dovrebbe erogare con trasparenza e imparzialità.

Il gruppo Laforgia/Delli Noci è stata una lobby, al di là dei reati che oggi vengono contestati dalla procura di Lecce. L’inchiesta condotta da due pubblici ministeri molto seri come Massimiliano Carducci e Alessandro Prontera è articolata e approfondita. Ma anche scivolosa perché il cuore di essa, ciò su cui ci sarà battaglia, è la definizione di corruzione. Ripassiamola: corrotto è il pubblico ufficiale che viene meno ai suoi doveri in cambio di denaro o altre utilità. In questo caso specifico Alessandro Delli Noci (che avrebbe agito con l’ausilio di Maurizio Laforgia) è accusato di aver condizionato le decisioni del Comune di Lecce a favore di un imprenditore. In cambio avrebbe ricevuto 5mila euro e diverse cene a base di sushi consegnate a casa gratis oppure con forti sconti.

Se fosse tutto qui sarebbe poca roba, sinceramente. È brutale ma sincero Marino Congedo, l’imprenditore intercettato, quando dice che alle porte delle istituzioni «se tuzza cu li peti», si bussa con i piedi, colorita espressione per dire che le mani sono impegnate a reggere dei regali. Ma l’entità dei regali in questione non è tale da immaginare una corruzione intorno a un affare da una decina di milioni di euro. Quindi se fosse tutto qui, sarebbe poca roba.

Però non è tutto qui: ciò che viene contestato è anche una sistematica attività di raccomandazione. Delli Noci, secondo la ricostruzione della procura, favoriva l’imprenditore nel suo progetto urbanistico e contestualmente gli sollecitava l’assunzione dei suoi elettori più fedeli. Sarebbe questo il do ut des tra politico e imprenditore: pressioni politico-amministrative in cambio di «altre utilità» cioè posti di lavoro utili a espandere la base elettorale del giovane e ambizioso assessore.

Reggerà questa accusa davanti al gip, e poi eventualmente davanti alla corte? Il tribunale dei social ha paradossalmente già emesso la sua sentenza di assoluzione: la raccomandazione è un peccato veniale, e se fosse reato le forze dell’ordine dovrebbero sbattere in galera tutta la classe politica. Ma la responsabilità penale è personale e poggia su fatti determinati; e lo stato di diritto si basa sui tribunali penali, non su quelli di Facebook.

La raccomandazione è una concretissima «utilità» che vale più del denaro? Si gioca su questo interrogativo molto del futuro personale di Alessandro Delli Noci. Che è anche il futuro politico del sistema Emiliano, cioè quella pratica del cosiddetto civismo, ipocrita formula per dire trasformismo, di cui Delli Noci era la faccia pulita, il biglietto da visita giovane e innovativo.

Dopo l’inchiesta della procura di Lecce sappiamo che l’innovazione poggiava su vecchissimi metodi clientelari, gli stessi che per anni il centrosinistra ha rimproverato ai suoi avversari, da Raffaele Fitto in giù. Se quei metodi siano reati o no spetta ai giudici dirlo.

A noi osservatori e elettori, però, spetta guardare con lucidità e senza sconti quel sistema. E al centrosinistra pugliese spetta fare i conti con una questione morale che è sotto gli occhi di tutti che da Barletta a Bari a Lecce è tutta politica e non giudiziaria. Altrimenti neanche Sant’Antonio da Bruxelles riuscirà a fare il miracolo di far dimenticare agli elettori gli scandali e le opacità che stanno caratterizzando questo ultimo scorcio dell’impero di Emiliano.

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