«La Puglia non è un binario morto, vogliamo anche al Sud treni veloci»: riprendiamo la battaglia? Io ci sto, ci sono sempre stato, al fianco della Gazzetta del Mezzogiorno, storica leader della sfida per la parità sui binari. Sono con chiunque voglia denunciare e muoversi perché venga rimossa una delle tante diseguaglianze tra il Settentrione e il Meridione.
Non abbiamo dimenticato che nel Mezzogiorno adriatico servono come il pane l'Alta Velocità ferroviaria, l'Alta Capacità e materiale rotabile moderno, all'altezza del Centro-Nord Italia, ma il tema è stato spinto fuori dalle prime pagine, occupate da altre emergenze. Alcune le seguiamo attivamente: l'autonomia differenziata, i referendum, la denatalità, per esempio. Facendosi avanti, anche loro hanno tolto visibilità e urgenza al problema delle infrastrutture e del trasporto su ferro da secondo mondo, se non terzo, qui nel Sud.
Non si può ignorare oltre, però, che il parco ferroviario «quaggiù» è vetusto, perché i treni che per obsolescenza e per decenza diventano improponibili nelle tratte settentrionali, vengono trasferiti da noi. Sono ancora buoni per i «meridionali», per i pugliesi, per i lucani, figli di un dio minore, dimenticati da sempre: Matera è l'unico capoluogo di provincia non servito dalle Ferrovie dello stato in Italia. Tra i trascurati, aggiungerei i molisani, altri che meritano un riscatto ferroviario, nonostante i loro tira e molla egoistici sul raddoppio della Lesina-Termoli.
Arrivare in orario da Bari a Roma e viceversa è come fare un sei al Superenalotto. Esperienza diretta: di recente, di ritorno dalla Capitale, ho impiegato un'ora e dieci in più della tabella. Significa ben cinque ore a bordo. Si può continuare così? Fino a quando?
Chissà perchè, nel ricco Settentrione si affronta e supera ogni ostacolo, ma se la latitudine scende, ci si arresta davanti al minimo ostacolo sui binari. Poco sotto il 47° parallelo dell'estremo Nord, le difficoltà spingono a moltiplicare le capacità dei tecnici, sopra il 36° dell'ultimo Sud diventano invece insormontabili, tolgono o' suonno e a' fantasia a tutti. Eppure sono entrambe latitudini Nord... Il fatto è che i settentrionali sono sempre più uguali degli altri, perfino quando la terminologia delle coordinate geografiche ci accomuna.
Le recriminazioni sono tante, ma non sfioreremo neanche le polemiche sui lavori finanziati dal PNRR che provocheranno nei prossimi mesi rallentamenti dei convogli e allungamenti dei tempi di percorrenza, sulle reti ferroviarie principali in Italia. C'è tanta altra carne sul fuoco, che basta e avanza.
L'Alta Velocità adriatica è a rischio stop. Che sorpresa, non ce l'aspettavamo, pensavamo ad un viaggio di nozze infrastrutturale, senza intoppi e tempi morti! L'allarme arriva soprattutto dalle Marche, articoli di stampa locale, nemmeno tanto recenti, lamentano che l'AV sia destinata a sostare in «un binario morto», perché il tratto prioritario, Bologna-Imola-Castel Bolognese, non è nemmeno alla fase di cantiere, ostaggio di una serie di veti, proteste e richieste di modifiche degli Enti coinvolti (Regione, Comuni e Ministeri). Se nella pianura emiliana si ferma tutto, la paralisi si estende come un contagio alle tratte successive, da Pesaro alla Puglia. Facile prevedere rinvii, nel Nord, alle calende greche, per il Sud «a babbo morto» (peggio del binario). Sarebbe una buona idea nominare un Commissario per le grandi opere, per sveltire? Certo, ma finora lo avete visto voi?
Languono inascoltate le nostre richieste sull'AV, si affiancano a quelle inevase di interventi sulle fermate, molto più facilmente attuabili. Per velocizzare gli attuali collegamenti ferroviari da e per la Puglia, resta in campo la proposta di treni Frecciarossa più rapidi da Milano, sopprimendo solo per alcuni convogli le fermate a Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Modena.
E poi, si vuole capire o no, una buona volta, che il materiale rotabile poco performante frena le velocità elevate nei tratti tortuosi? A che servono i vagoni ad assetto variabile attivo, nella piatta pianura padana? Sarebbero utilissimi nel tratto appenninico della Napoli-Bari, dove, a proposito di tempi lunghi, la fine lavori è slittata di altri sedici mesi, a metà del 2029, per problemi geologici.
Ultimo ma non secondario, il nodo di Gordio della privatizzazione di parte della rete ferroviaria italiana. Nei Ministeri si progetta di trasferire alcune linee nazionali a compagnie e società private, sull'esempio di quanto avvenne nel Regno Unito, negli anni Novanta. Un'obiezione sorge spontanea, tante anzi. Innanzitutto, si dovrebbe mettere bene a fuoco l'impatto delle scelte sulle infrastrutture e i collegamenti nel Sud e nelle aree interne della penisola. Potremmo ritrovarci facilmente con la gestione di SpA attente solo ai costi e ricavi, mentre la pubblica resta fortemente sensibile anche agli aspetti sociali oltre a quelli economici.
In più, l'ipotesi avrebbe altre ricadute, come la gestione a macchia di leopardo di alcune tratte e stazioni. Rischieremmo il caos, soprattutto nella gestione ed affiatamento in generale, perché i privati pensano agli utili, non alle esigenze collettive. Lo Stato infatti guarda alla sostenibilità, certo, ma non può fare a meno di reimpiegare i proventi per assicurare il funzionamento, la manutenzione e lo sviluppo delle linee meno remunerative.
Insomma, «a pensar male...», questa volta, si «azzecca», più che mai.
L'esperienza britannica sia di monito e d'insegnamento. Dopo la privatizzazione della rete ferroviaria, lo Stato si vide costretto a nazionalizzarla di nuovo, per le disastrose conseguenze sulla gestione dei binari. Privato, dietro front. Statale, avanti marsch. Impariamo dagli errori degli altri.