Martin Wolf, co-direttore del «Financial Times», uno degli esperti più autorevoli a livello internazionale sui temi economici e politici, nel suo ultimo libro, La crisi del capitalismo democratico (Einaudi, 2024, pp. 648), sostiene che si sta rompendo l’equilibrio virtuoso tra economia e politica nel modello occidentale di democrazia.
Nella seconda metà del XX secolo, la democrazia con il welfare ha «addomesticato» il capitalismo, senza spegnerne il dinamismo, che è creatore di ricchezza. La democrazia liberale ha bisogno dell’economia di mercato. Ma se questa crea troppe disuguaglianze, si erodono le basi sociali della democrazia, crescono frustrazione e risentimento, che sono il terreno fertile per involuzioni autoritarie. La globalizzazione e la rivoluzione tecnologica, per Wolf, hanno aperto nuovi spazi per forme di capitalismo predatorio. Si è formata una classe di plutocrati che esercita una enorme influenza politica sui governi. Nel capitalismo predatorio si formano monopoli che alterano la concorrenza, catturano privilegi regolativi, moltiplicano le rendite. L’aumento delle disuguaglianze indebolisce i sistemi rappresentativi ed è una seria minaccia per la democrazia. Lo si vede bene in America con Trump, ma, per Wolf, l’Europa non è affatto immune dal pericolo.
La democrazia presuppone che i cittadini scelgano liberamente in modo ragionato i propri rappresentanti, sulla base dei loro programmi. Questo richiede una «robusta ecologia dell’informazione, indipendente dalla politica». Nella seconda metà del Novecento furono creati i servizi pubblici radio-televisivi e un mercato regolato dalla comunicazione privata.
La diffusione di internet e dei social media ha radicalmente cambiato l’ecologia dell’informazione. Sono caduti i vincoli e gli incentivi a dire la verità, gli algoritmi vengono usati per diffondere contenuti ingannevoli, sgretolando in tal modo la concezione condivisa della realtà. La situazione tende a peggiorare con il progresso dell’Intelligenza artificiale.
Tutto questo è una seria minaccia alla democrazia cognitiva. Il cittadino rischia di perdere il diritto alla conoscenza. Mancando la conoscenza, l’elettore non riesce neppure a conoscere i programmi e la posta in gioco in una competizione elettorale.
Sono scomparse le tribune elettorali organizzate dal sistema radio-televisivo nazionale, i comizi sono sempre più rari, le sedi dei partiti sono spesso sostituite dai comitati elettorali dei singoli candidati.
Fra qualche giorno andremo a votare senza conoscere i candidati e cosa propongono i singoli partiti sulla regola dell’unanimità, sulla difesa comune europea, sul sistema fiscale, sulle migrazioni, sulle politiche monetarie, sulla transizione energetica, sulle politiche agricole e su tanti problemi che riguardano la nostra vita quotidiana.
Senza una reale democrazia cognitiva, come pensiamo di arginare l’astensionismo, che ha raggiunto ormai il 50% dei votanti?
I nostri rappresentanti finiscono con il rappresentare non tutto il popolo, ma una minoranza. Non dimentichiamo che «la sovranità appartiene al popolo», come recita l’art. 1 della Costituzione Italiana.















