Qualche giorno fa l’articolo sul lavoro pubblicato dalla Gazzetta riportava che nel 2080 mancheranno 8 milioni di pugliesi, a causa dell'emorragia di cervelli e talenti che ha preso una pericolosa curva in salita. Secondo le analisi, i pugliesi scappano (come d'altronde i lucani e la gran parte dei giovani del Sud Italia) perché non hanno un lavoro. O non hanno il lavoro che sognavano e per il quale hanno studiato. O hanno un lavoro ma è pagato poco. O hanno un lavoro così precario che forse è meglio andare a cercar fortuna altrove.
O c’è anche altro?
Risulta infatti che il precariato – fatte le debite proporzioni anche per la disponibilità di servizi pubblici – ci sia anche nelle regioni del Nord Italia, con affitti stellari e stanze «loculo» per studenti e giovani, con costi della vita elevati e lavori spesso non qualificati, apprendistati e stage riproposti all’infinito per sfruttare al massimo la convenienza economica delle opportunità di inserimento occupazione delle politiche del lavoro italiane.
E allora, perché vanno via dal Sud?
Da un lato, come spiegato bene nell’articolo, c’è un problema strategico della geografia italiana, che tende a focalizzare e indirizzare gli investimenti europei e internazionali sempre verso il Centro-Nord del Paese, per storia e radicamento delle opportunità e di una parte consistente del potere politico ed economico da cui è difficile smarcarsi, per cui anche nelle imprese grandi nazionali e multinazionali, ad esclusione di quelle con i patrimoni famigliari in loco, il Sud è il capolinea della carriera professionale. Quando un lavoratore viene spostato nelle sedi del Sud, spesso è perché il suo piano di sviluppo di carriera è terminato. E questo gli addetti ai lavori lo sanno bene.
Dall’altro lato, abbiamo anche un problema (che manifesta un’opportunità), di cultura, ovvero di stili di governance e di leadership, basati ancora su un modello vecchio di concezione dell’autorità e della relazione padrone-amministrazione-gestione del lavoro. Sullo stile di quello che Bevilacqua lo storico, chiamava il familismo amorale. Il quale, se da un lato avrebbe tutelato l’ordine stabilito, dall’altro ha rappresentato anche un ostacolo alla crescita e al cambiamento.
Questo si rinviene ad esempio, nelle relazioni orientate più alle regole che alle proposte di innovazione e creatività, più al controllo che alla delega con fiducia, più alla cornice del contratto legale che a quelle del contratto psicologico. In questo quadro, ad esempio, bisogna comprendere che per un giovane tra i 23 e i 28 anni, che magari ha necessità di acquisire il comportamento organizzativo, è importante incrociare il suo bisogno di dare un senso più ampio a ciò che fa e di come il proprio lavoro impatta su di sé, sull’organizzazione, sulla vita e sullo scenario globale. Infatti, le ultime indagini (Cnbc 2019) mostravano che l’86 per cento dei millennial accetterebbe una riduzione del proprio stipendio pur di lavorare per un’azienda rispettosa dell’ambiente, o non lavorerebbe in aziende che non hanno un forte impegno sulla responsabilità sociale (2 giovani su 3) (ricerche di GreenBiz e Gruppo Sodexo sui Work Place Trend ed altri).
Questa necessità deriva dal cambio di paradigma relazionale ed educativo, nelle relazioni famigliari, in cui la regola viene appresa attraverso un codice affettivo, in alleanza e non in opposizione. Considerando il figlio non inferiore o sottomesso, ma un altro soggetto del sistema famigliare. Non una proprietà, ma un’opportunità di collaborazione, nel rispetto di vincoli relazionali ed economici. Questa relazione necessita di conoscere qual è il senso delle regole, a quale bene singolo e comune risponde e come favorirlo in un dialogo autentico e con un ascolto egoless (senza l’autobiografia del filtro personale).
Essendo il Sud geograficamente un tessuto basato sul forte senso di famiglia e di relazioni comunitarie, ha il vantaggio di legami forti e lo svantaggio di non riuscire a reinterpretare il legame in virtù di una relazione paritaria, indipendente, che riconosce e valorizza il contributo dell’altro a cui attribuisce responsabilità e valore nel percorso di crescita organizzativa.
È necessario prendere in seria considerazione il bisogno di aprire i modelli mentali delle relazioni e degli stili di governo, di leadership, orientandoli ad una strategia innovativa, che coinvolge nelle prime linee il contributo dei giovani e che li premia al pari dei più maturi e anziani in servizio, aiutandoli a guidare le organizzazioni verso il futuro a cui essi sono strategicamente e anagraficamente più vicini. E, se possibile non farne solo uno slogan, ma agire in questa direzione con forza, costanza e determinazione a tutti i livelli dimensionali e sociali.