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Viva i regali di Natale, «sorrisi» nel mondo ferito dalla guerra

 
Gino Dato

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Gino Dato

Viva i regali di Natale, «sorrisi» nel mondo ferito dalla guerra

Nonostante il consumismo vince la logica del dono per mutua simpatia. Perché il dono e il regalo dovrebbero essere in primo luogo un atto di mutua simpatia tra chi dona e chi riceve, che a sua volta donerà.

Mercoledì 20 Dicembre 2023, 14:00

Non accadeva dal 2019 che gli italiani, per i doni delle festività natalizie, scucissero dalle tasche più denari dell’anno precedente. Secondo una indagine di Confcommercio-Imprese per l’Italia, in collaborazione con Format Research, non solo sale al 73,2% dal 72,7% dell’anno scorso la quota di coloro che faranno regali, ma lieviterà anche la spesa media: fino a 186 euro a testa, dai 157 del 2022. Sale anche all’8,3% degli intervistati la percentuale delle persone che destinano ai doni oltre 300 euro, pur restando minoritaria.

Assai emblematica, insieme ai volumi di spesa, è la natura di quel che si regala. Che cosa mettiamo sotto l’albero? La risposta appare difensiva del benessere della persona: aumentano il cibo e le bevande, scelti dal 72,7% del campione; i giocattoli, comprati dal 50,1%, e i prodotti per la cura della persona, per il 49,6%.

Gli avvertimenti di Confindustria rilevano come, nonostante l’inflazione sia rientrata, l’economia resti debole, industria e servizi siano «ancora in difficoltà», e immersi nella stagnazione. Ma, ciò nonostante, pare proprio che gli italiani non vogliano rinunciare a un rito che, pur avendo perso ogni sacralità, si tiene stretto alla regola della tradizione più genuina: a Natale, come che sia, magari anche con sacrifici, dobbiamo fare i regali.

Né l’atmosfera, né le luci e le riunioni di famiglia, e neanche la nostalgia di un passato che non ritorna, riscaldano e riempiono le giornate quanto l’assillo che ci prende per il regalo. Certo, il dono e l’atto del donare hanno pure conquistato ogni angolo e momento del calendario, per qualsivoglia ricorrenza o cerimonia, ma non si schiodano dalla liturgia delle priorità natalizie.

Per i primi Natali del secondo dopoguerra italiano c’era da aspettare la Epifania per vedere il luccicchio di pacchi e pacchetti, che poi, con il passare degli anni e l’avanzare del benessere, hanno finito per insinuarsi e impossessarsi della vigilia di Natale e anche della vigilia di Capodanno, lasciando sola soletta la Befana. La montagnola di buste e scatole sotto l’albero o accanto al presepe appare irrinunciabile, per i bambini ma anche per gli adulti.

Quanto sia unico e solenne l’atto del donare non possiamo però illuderci, come abbiamo appena detto, per una società di opulenze consumistiche. Così come non sappiamo quanto lo stesso atto sia vissuto come un obbligo, visto lo strutturarsi dei rapporti e delle relazioni in una società che è stretta nei vincoli delle gerarchie dell’obbligo, della gratitudine formale, e gradualmente ha abbandonato le buone maniere e l’utilità dello scambio.

Sì, perché il dono e il regalo dovrebbero essere in primo luogo un atto di mutua simpatia tra chi dona e chi riceve, che a sua volta donerà.

L’impressione, in una società sempre più ingessata, è che al piacere e alla gratitudine siano subentrati il senso del dovere e dell’obbligo.

Ma se pure è così, ben venga il rito dei doni e il piacere di chi offre e di chi riceve e il sorriso di chi s’accorge che, nonostante tutto, ancora pensiamo a lui. Il gesto ci riporta a una forma di scambio diretto che va ripristinata in ogni sua valenza di mutuo soccorso e naturalezza. E che va reinsediata in un quotidiano squassato dalla tragica epopea dell’odio e delle guerre.

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