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La dolce vita degli istituti di credito dopo lo «schiaffetto» sull’extra-gettito, ma aziende e famiglie restano a secco

 
Bepi Martellotta

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Bepi Martellotta

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Cala la domanda di finanziamenti e aumenta la raccolta. Ma il Pil chi lo realizza se non chi investe?

Martedì 07 Novembre 2023, 12:00

Il credito alle imprese frena in Italia sotto l’effetto della stretta della Bce e del calo della domanda dovuto al rallentamento dell’economia del nostro paese. Il calo riguarda tutti i settori ma è meno incisivo per l'agricoltura che aumenta così lievemente la sua quota sul totale degli impieghi bancari, dimostrando ancora una volta una minore volatilità rispetto all’industria e al commercio, che - invece - sperimentano una diminuzione più brusca.

Gli ultimi dati della Banca d’Italia riferiti ad agosto mostrano un calo del totale dei prestiti del 3,4% (comprensivi di quelli alle famiglie) che sale a -6,2% per quelli concessi alle imprese. Sui circa 698 miliardi di impieghi alle aziende ad agosto la manifattura è scesa da 193 a 192 miliardi, il commercio da 126 a 123,4 mentre appunto l'agricoltura da 39,8 a 39,6 miliardi. Dati, questi, complessivi e che appiaono asettici, ma è sufficiente andare a guardare le ricadute sui territori (ne riferiamo a parte) per capire l’onda d’urto del «credit crunch» sul Paese.

Il declino nel finanziamento alle imprese (per le famiglie il calo è meno brusco) è dovuto appunto a una serie di fattori fra cui la crescita dei tassi, a politiche più severe da parte delle banche nel concedere i prestiti e a una maggiore prudenza da parte delle stesse imprese, visto il rallentamento del Pil - che non si è tuttavia tramutato in recessione - e i sovra-costi.

La tesi del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, è questa: le condizioni meno accomodanti non devono impedire alle aziende di investire in settori chiave come l’innovazione e, in ogni caso, le aziende possono ricorrere anche a canali di liquidità diversi da quello bancario dopo aver beneficiato per anni dei tassi quasi a zero. Giusto. La domanda che, però, resta inevasa è: perché le banche, che pure non sono state toccate come temevano dalla misura pure annunciata dal Governo sugli extra-profitti, devono stringere la cinghia come le famiglie sulla spesa se a pagarne il conto non sono gli istituti di credito, ma i soggetti che dovrebbero beneficiare dei loro prestiti per tenere in piedi le attività? E, dunque, il Pil che sta decelerando. Insomma, se la stangata – che pure era stata paventata – per loro è arrivata in maniera molto “edulcorata”, ora non è tempo che siano le banche a fare ulteriori sacrifici così come, a causa degli alti tassi e del Pil in calo, li stanno sostenendo famiglie alle prese con l’inflazione e aziende alle prese con la crisi di liquidità?

Ora è finalmente arrivata una pausa della Bce sul rialzo dei tassi, ma dopo ben 10 aumenti consecutivi. Certo, sarà percepita una maggiore stabilità dalle aziende per programmare gli investimenti e i piani di sviluppo, sventato lo spauracchio di ulteriori rialzi dei tassi. Ma come metterla con la moltitudine di piccole imprese, il vero tessuto economico del Paese, che dopo aver affrontato la terribile crisi della pandemia Covid, appena riemerse a galla grazie agli aiuti di Stato si sono viste ripiombare addosso l’impossibilità di accedere a finanziamenti bancari per guardare al futuro? L’istituto centrale di Francoforte ha citato più volte le frenata del credito come uno degli elementi dolorosi ma necessari per domare l’inflazione, che continua a galoppare in tutta Europa e che certamente pesa sulle fasce più deboli della popolazione, oltre a distorcere i mercati (dai banchi alimentari impazziti per i consumatori ai costi delle materie prime per le industrie). E tuttavia molte critiche e timori in merito alla crescita dei tassi sono arrivate in questi mesi dalle forze politiche e dalle associazioni d’impresa, da Federmeccanica a Confagricoltura, e sono rimaste inascoltate. Mentre gli istituti di credito, in grande silenzio, ottenevano che la sciabolata sugli extra-profitti annunciata dal governo Meloni, realizzati anche grazie a quei tassi d’interesse così alti, si traducesse in uno «schiaffetto». In pratica, alle banche viene lasciata la possibilità di scegliere se pagare una tassa sui margini di profitto realizzati tra il 2021 e il 2023 oppure aumentare le proprie riserve di capitale. La domanda appare retorica: indovinate che faranno?

Gli economisti, per fortuna, prevedono un progressivo «raffreddamento» dell’inflazione: la media di quest’anno dovrebbe calare al 5,8% e avvicinarsi, pian piano, al 2% finale stimato dalla Bce per il 2023. Stima, in realtà, che pare ottimistica a giudicare dai risultati in termini di Pil che l’Italia sta realizzando e le cui riduzioni hanno già comportato numerose revisioni del Def. E il Pil, appunto, chi lo fa? Gli istituti di credito, che raccolgono denaro e lo erogano (come si è visto, in maniera sempre più ridotta) o gli imprenditori che ogni giorno alzano la saracinesca e le famiglie che varcano quella saracinesca per mandare avanti il Paese? Entrambi continuano a farlo, ma con un portafogli sempre piu’ vuoto. Mentre le banche aumentano le riserve.

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