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Calvino e l’essenza del viaggiare: curiosità e identità

 
Nicolò Carnimeo

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Nicolò Carnimeo

Calvino e l’essenza del viaggiare: curiosità e identità

E per scoprire una città nuova, ci insegna Calvino, bisogna prima immaginarla, essa vive prima nei sogni, nei desideri di ciascuno (e tanto potrebbe già bastare), possiamo ricreare nella nostra mente le piazze, i palazzi, le strade, immaginare gli odori, i gesti, gli sguardi della gente

Mercoledì 18 Ottobre 2023, 13:28

Nella piccola biblioteca della mia vela c’è spazio per pochi volumi, del resto chi naviga sa che a bordo si può portare solo l’essenziale, ciò di cui non si può fare a meno. In un angolo del tavolo da carteggio ormai da anni in pole position c’è Le città invisibili di Italo Calvino. La lunga navigazione nelle acque della Grecia ha dato un colorito giallastro alle pagine rendendo il libro ancora più fascinoso (proprio come le persone brizzolate) e donandogli un odore di salso e di sale.

Riesco a sentirlo mentre rileggo i colloqui di Marco Polo e Kublai Kan sulle città che il veneziano ha incontrato lungo la via della seta nel vastissimo impero dei Mongoli. Il sovrano non conosce il suo immenso impero e ha bisogno di qualcuno che glielo racconti per poterlo possedere davvero, ha necessità di un narratore che riesca a far vivere o rivivere quei luoghi quantomeno nella sua immaginazione. Marco Polo gli narra di città fantastiche, lunari, e quanto più sono improbabili tanto più catturano il Gran Kan mentre a noi lettori donano occhi nuovi per guardare l’altrove, insegnano a decifrare quello che viaggiando ci si para davanti all’improvviso e non riusciamo a percepire nella sua vera essenza.

Così quando dopo una lunga rotta la mia vela «Camomilla» (si chiama così, naturalmente, perché va piano) approccia la terra e ne appare profilo, subito riaffiorano dalla nebbia del mattino Le Città invisibili di Calvino, ecco Diomira, o Zaira dagli alti bastioni, Dorotea, Anastasia, città bagnata da canali concentrici e sorvolata da aquiloni, e ancora Armilla che non ha muri, né soffitti, né pavimenti. Ecco perché questo libro serve più di un portolano, di una carta nautica o di un GPS, riesce a suscitare curiosità e immaginazione, quella sete che è necessaria in un «viaggio». Perché il viaggio è scoperta! A meno di non lasciarvi trasportare come croceristi inconsapevoli da una città all’altra senza visitarne neanche una!

E per scoprire una città nuova, ci insegna Calvino, bisogna prima immaginarla, essa vive prima nei sogni, nei desideri di ciascuno (e tanto potrebbe già bastare), possiamo ricreare nella nostra mente le piazze, i palazzi, le strade, immaginare gli odori, i gesti, gli sguardi della gente (ndr, io in ogni nuova città visito prima mercati, caffè e cimiteri che sono straordinari palcoscenici di umanità). Parigi, Roma. New York basta pronunciare queste parole per suscitare in noi una emozione, un ricordo anche quando non ci siamo ancora stati. Perché le stesse città, scrive Calvino, nascono dai sogni e dai desideri, non certo dall’ingegno dell’uomo o dal caso.

Quando «Camomilla» approda in un porto porto nuovo e dalla banchina si cammina nella città sognata, il velo cala, la città è finalmente nuda al nostro sguardo. Il primo viaggio, ciò che avevamo immaginato e ancora ci affatichiamo a cercare, svanisce lentamente. Disillusione o sorpresa? Questo è il secondo dono. Ma per capire o percepire la realtà per quello che è, racconta Marco Polo al Kan parlando di Ippazia: «dovevo liberarmi delle immagini che sin qui mi annunciavano le cose che cercavo».

Attenzione, non è ancora tutto, perché ogni città cambia sulla base della nostra percezione, Calvino ci porta nella città di Armilla dove chi è ombroso ed ha lo sguardo basso al suolo vede solo fogne a cielo aperto, rifiuti, escrementi, topi, ma chi guarda il cielo ed ha l’animo sereno vede solo palazzi fantastici, uccelli e foglie che si muovono lentamente al vento. Il fascino poi sta anche nei dettagli, nelle differenze, è appunto l’altrove che ci tiene avvinti nel viaggio. Calvino, tra le righe del romanzo (siamo nel 1972), lancia una sorta di profezia «viaggiando ci si accorge che le differenze si perdono, ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma, ordine, distanze, un pulviscolo informe invade i continenti», anticipa il lato oscuro della globalizzazione, dove i luoghi pur se distanti si assomigliano, perdendo le differenze e la diversità che sono le più grandi ricchezze che possediamo.

Qualche volta le città si svelano quando qualcuno le racconta, e non importa che il narratore le abbia viste davvero o semplicemente immaginate, (questa è la forza dei racconti di Marco Polo al Gran Kan), le città invisibili entrano comunque a far parte di noi, del nostro immaginario, come diceva Platone riferendosi al mondo delle idee, si genera la possibilità che divengano realtà. Ripongo il libro al suo posto sopra il tavolo da carteggio, continuerà a navigare, non so sino a dove, ma certamente sino a quando ci saranno nuove città da scoprire.

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