L’Italia scende di 16 posizioni, rispetto al 2022 nella classifica sul divario di genere su un totale di 146 Paesi, passando dal 63° posto del 2022 al 79° posto nel 2023. Le motivazioni del calo di genere nel punteggio sono imputabili al tasso di occupazione femminile (tasso di disoccupazione globale 4,5% per le donne e 4,3% per gli uomini) e alla leadership femminile.
Secondo il Rapporto 2023 l’uguaglianza di genere torna ai livelli pre-pandemia facendo sperare in un complessivo recupero, ma rallenta il ritmo dei progressi.
Infatti, l’Area Europea supera quella del Nord America nell’Indice di parità di genere complessivo (76,3%) e ai primi posti della classifica si confermano i paesi del Nord Europa: con l’Islanda al primo posto come unico paese al mondo in cui l’indice di parità supera il 90%. Seguono Norvegia (2° posto), Finlandia (3° posto), Svezia (5° posto) e Germania (6° posto). È stimato che l’Europa raggiungerà la parità di genere tra 67 anni, il dato più vantaggioso rispetto a quelle di altre aree geografiche, come ad esempio il Medio Oriente e Nord Africa per i quali si stima un tempo di circa 152 anni per colmare il divario. I tassi di occupazione globale mostrano una piccola ripresa della parità di genere nel tasso di partecipazione alla forza lavoro dall'edizione del 2022 (63% 2022 - 64% 2023), ma la rappresentanza della leadership femminile nel mercato del lavoro è ancora bassa: le donne rappresentano il 41,9% della forza lavoro nel 2023 e la quota di donne in posizioni di leadership senior è il 32,2%.
Scarsa la presenza di donne nella forza lavoro STEM, in cui l’impiego è più pagato rispetto agli altri tipi di lavori.
Le donne sono più libere di scegliere apparentemente poiché la cultura ammette la loro affermazione professionale e la loro indipendenza economica, ma non si mette in gioco la complessità del gioco di squadra in famiglia, almeno in Italia. Infatti, quando si parla di welfare e welfare aziendale, di natalità e di strategie di conciliazione vita lavoro, troppo spesso si ragiona ancora su come aiutare la donna nei suoi ruoli di lavoratrice, madre e moglie, con ipotesi relative ad asili aziendali (senza un’analisi dei bisogni) e sistemi per aiutarla in quello che è il ruolo di cura da sempre ad essa attribuito. Mentre troppo poco si parla di co-genitorialità consapevole, di responsabilità e bellezza del ruolo dei due coniugi e co-creatori della coppia e della famiglia, che rappresenta il primo fattore di scarico energetico ed emotivo che impatta sulle donne che in molti casi si sentono sole nella gestione del doppio carico di gestione privato (famigliare-domestico) e pubblico (lavoro).
L’impedimento che le donne incontrano nella loro crescita professionale è spesso lo stress dei molteplici ruoli di responsabilità, il senso di colpa nel deviare da modelli antichi di cura solo al femminile, in cui esse sono le uniche depositarie del processo di accudimento, cura e crescita e quindi le uniche vere responsabili del benessere dei figli. Sintetizzando, l’antifona è: se la donna riesce a fare tutto ciò che desidera oltre a ciò che la società (e il partner) si aspetta da lei, può farlo. In realtà questo stato di cose, porta la donna sempre più spesso a lasciare il lavoro e a dimettersi e comporta sovente un impoverimento della personalità femminile, che viene depauperata dal carico eccessivo e solitario, rinunciando al suo specifico contributo che, invece – oltre a dare alla donna il benessere proprio del processo evolutivo - potrebbe offrire una visione diversa, arricchita di competenze umane oltre che professionali, concorrendo ad una crescita complessiva dell’economia e della società.
Per questo tra gli strumenti più efficaci a sostegno del divario di genere, è necessario il potenziamento della genitorialità e il potenziamento della donna lavoratrice, manager e leader, per sostenerla nelle fasi più critiche del suo progetto evolutivo complessivo, di persona prima che di ruolo.