Sulla scena del funambolismo giuspolitico italiano capitano cose strane. Capita, ad esempio, che ad una assemblea legislativa gonfia di venditori di fumo e impresari del consenso si contrappongano giudici potenti. I primi usano la legge come corpi contundenti per alimentare battaglie culturali e corporative. I secondi sottolineano eccentricamente il potere normativo insito nella funzione giurisdizionale. Tanto più nelle materie eticamente sensibili dove, dagli spazi illogici di logore formule ideologiche, affiorano incongrue giurisprudenze. Le vicende legate allo status filiationis di bambini nati con le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) e di gestazione per altri (GPA) sono lì a dimostrarlo.
I certificati di nascita registrati con due mamme sono in contrasto con le leggi italiane, ha affermato la Procuratrice di Padova. Lo ha fatto notificando 33 atti giudiziari con cui, solcando le decisioni delle Sezioni Semplici della Cassazione, chiede al Tribunale del luogo la «cancellazione» dai suddetti documenti del nome della madre non biologica. In precedenza il Prefetto, sollecitato da una Circolare del Ministro dell’interno, aveva invitato tutti i Sindaci della provincia a rispettare la decisione del 30 dicembre 2022 (n. 38162) delle Sezioni Unite della stessa Cassazione, che ha disconosciuto l’automatica trascrizione in Italia di dati anagrafici formati all’estero per figli di coppie omogenitoriali: «sono casi uguali», fa sapere la Procuratrice, «non c’è nessun motivo per differenziare»; «io sono tenuta a far rispettare la legge e con l’attuale normativa non posso fare altro», ha aggiunto.
In realtà la richiesta riguarda neonati nati mediante tecniche di PMA di tipo eterologo. La sentenza delle Sezioni Unite è invece riferita a un bambino che, nato attraverso la GPA, è in possesso di un certificato di nascita emesso dalle autorità estere con cui si riconoscono come genitori sia il padre biologico che quello d’intenzione. L’elemento comune riguarda semmai gli adulti e non gli infanti. Riguarda, ad esempio, il fatto che molte delle coppie in questione sono unite civilmente ai sensi della legge n. 76/2016, nota anche come legge Cirinnà.
La distinzione fra le due fattispecie connota la decisione emessa negli stessi giorni dal Tribunale di Milano. Qui si dichiarano inammissibili tre ricorsi della Procura milanese per l’annullamento della trascrizione dell’atto di nascita di tre figli di altrettante coppie composte da donne che hanno fatto ricorso all’estero alla PMA. In questa stessa sede è invece annullata la trascrizione del genitore d’intenzione: non può comparire nel certificato di nascita riguardante un minore nato all’estero attraverso la GPA.
Questi orientamenti rendono alquanto difficile l’individuazione di armoniche e ragionevoli costanti, oltremodo sacrificate sull’altare di interessi elettorali. Quelli che hanno caratterizzato gli interventi legislativi in materia di bioetica, su cui pesano i moniti dei giudici costituzionali e apicali. Sono non per nulla rivolti al detentore della macchina normativa statale, chiamato ad adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini, compresi quelli nati mediante la surrogazione di maternità. In Italia è un reato sanzionato con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro (articolo 12 legge n. 40/2004). In altri Paesi è legalizzata. Ciò esclude l’automatica trascrivibilità nei registri italiani del provvedimento dell’atto di nascita straniero. Il neonato resta in ogni caso titolare del diritto fondamentale al legale riconoscimento del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato con chi ha condiviso il disegno genitoriale. Si può perciò far ricorso al procedimento di adozione in casi particolari, come disciplinato dall’articolo 44 della legge n. 184/1983. La quale, però, dovrebbe essere adeguata alle peculiarità delle situazioni in esame (Corte costituzionale, sent. n. 33/2021, Sezioni Unite della Cassazione, sent. n. 2022/38162). Un adeguamento tanto più necessario se riferito alla legge Cirinnà, che non prevede per il genitore non biologico la possibilità di adottare il figlio naturale o adottivo del partner. E non pare che possa condurre a diverse conclusioni la decisione del 22 giugno 2023 della Corte europea dei diritti dell’uomo, con cui si dichiarano inammissibili una serie di ricorsi di coppie omogenitoriali ed eterosessuali, le quali chiedevano di condannare lo Stato italiano perché non permette di trascrivere all’anagrafe gli atti di nascita redatti al termine della GPA: la Corte lascia così al legislatore nazionale il diritto-dovere di tutelare i bambini nati con tecniche siffatte.
Spettatori ragionevoli confidano allora in azioni conseguenti. I più smaliziati conoscono le tendenze della politica italiana, campione inarrivabile nel dissimulare i limiti logici e le conseguenze concrete dei testi legislativi. I fatti danno ragione a questi ultimi: anziché proporre soluzioni razionali si solcano quelle giuridicamente sterili ma faziosamente redditizie di anni precedenti. A renderlo evidente è la cronaca parlamentare di questi giorni, dal cui cilindro esce la proposta di legge che relega la GPA nell’ambito dei reati universali (si veda sul punto l’intervento dell’8 giugno 2023 su questo giornale). Un caso emblematico, si potrebbe dire, di produzione normativa che, quando va bene, si colloca al di sotto del carisma di un danzatore della pioggia di fronte ai fenomeni atmosferici.