Vai, vai in un liceo pugliese a dire ai ragazzi: ma perché non pensate di restare al Sud? Se stessi in una Curva Nord, ti prenderesti una bordata di fischi da far crollare il cielo. Siccome stai in un auditorium, il ragazzo che risponde a nome di tutti scatena una standing ovation, un terremoto di applausi che neanche per un gol di Cheddira o di Strefezza. Insomma, fai un’altra domanda.
Finito l’incontro, anzi finito il rodeo, succede che senza dare nell’occhio ti si avvicini qualcuno dall’orda dei rivoltosi e ti dica zitto zitto: no, davvero, io vorrei rimanere qui. Il più delle volte ci aggiunge un «però», se ti va bene non c’è neanche il però ed è Bingo. Dopo di che il cospirato sgattaiola via come un Bruto o un Giuda.
Nelle nostre università, non è raro incocciare chi si definisce sfigato per essere rimasto qui. Sfortunato. E se tu cerchi di spiegargli come, nonostante tutto, al Sud si possa, non essendo vero che non si possa far nulla, anche una Chiara Ferragni perderebbe like e follower. Perderebbe i «mi piace» e i «seguaci» che sono il principale indice del successo (e dell’insuccesso) oggi.
Qui non c’è lavoro, la spiegazione (magari da correggere che non c’è tutto il lavoro che si vorrebbe). E giù la sequela di tutti i conoscenti e amici che al Nord hanno trovato questo e quest’altro. Senza aggiungere come, dove e soprattutto a che prezzo.
Il Sud è accompagnato ancora da un racconto che lo descrive come un posto dal quale si debba solo andar via. Più spesso racconto altrui più che proprio, e tendenzioso più che obiettivo. Perché ogni ragazzo che va via in fuga da un divario, con la sua fuga non fa altro che aumentare quel divario. Va sia ad arricchire altre università con la sua iscrizione, sia un altro territorio con i suoi consumi. Arricchire chi è già ricco, impoverire chi è già povero: la trappola dell’insufficiente sviluppo. Mezzo realismo perché è anche così, mezzo fatalismo spesso alibi dei mediocri.
Ma se tu non ci provi, come fai a dire che non si può? Un altro dei liceali da talk show ti obietta. Scusi, come fate a dire di rimanere al Sud, quando al Sud ci sono tutti i Neet, i ragazzi che non studiano, non lavorano, non fanno corsi di formazione? Anzitutto non ci sono solo al Sud, anzi che ci siano anche al Nord è più sorprendente che ci siano al Sud. Ma in Italia ci sono anche un milione duecentomila di posti di lavoro offerti senza che ci sia nessuno chi se li prenda. E non solo baristi e bagnini per l’estate, anche quelli per tutte le stagioni. E nemmeno soltanto, chessò, i fresatori, oggetto misterioso se chiedi cosa fanno. Anche informatici che dovrebbero essere più pronti all’uso visto quanta vita passiamo su computer e cellulari. Anzi i ragazzi sono nativi digitali, si dice, nascono con i tastini incorporati invece che con le dita. Eppure si cercano gli informatici ed è più facile trovare cammelli al Polo Nord (dato anche il cambiamento del clima).
Poi però vai a leggere una ricerca, e cosa scopri? Scopri che il 49 per cento dei giovani italiani fra i 18 e i 29 anni non ha un’idea di quale lavoro voglia svolgere. E anche all’università, chiedi, scusa cosa pensi di fare dopo? Sempre più spesso ti rispondono poi vedrò, ah la specializzazione. Ah. Come se fossero parcheggiati, rinviando rinviando. Tanto indecisi a tutto non meno che demotivati, da far diventare lo psicologo di ateneo più ricercato di un idraulico la domenica. Eppure non è colpa loro, si assicura in coro. Funziona poco e male l’orientamento alla facoltà più giusta, anche perché non sono molti quelli che vi bussano. Non ci sono tutor pubblici benché lo preveda quel Pnrr, Piano di ripresa e resilienza, poco alla volta più noto per ciò che non potrà fare che per ciò che dovrebbe fare. Oltre che un sostegno al diritto allo studio, ci vorrebbe un sostegno al diritto del dopo-studio.
Questo Paese, più che un Paese, è una sciarada. Ci sono troppi giovani che non cercano lavoro, troppi lavori che cercano giovani lavoratori, troppi lavori che in mancanza di giovani si prendono gli anziani, troppi giovani meridionali che dicono di non trovare ciò che vorrebbero al Sud. Mentre il presidente di Confindustria Bari-Bat, Fontana, assicura (anche facendo il suo esempio di partito e ritornato) che non è vero che al Sud non si possa fare impresa. Perché al Sud non si può fare nulla (o quasi) tanto più quanto non si fa nulla per conoscerlo. Nelle scuole, oltre che il divino Dante, domina la commedia dell’impossibile, anche dove è possibile, e neanche poco.