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Contro il fiume di retorica, l’antidoto è capire cosa fare da domani

 
Alessandro Vanoli

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Alessandro Vanoli

Contro il fiume di retorica, l’antidoto è capire cosa fare da domani

E' prudente usare bene i termini per parlare di ciò che sta vivendo l'Emilia Romagna, quello che conta è cambiare in meglio il corso delle cose

Domenica 21 Maggio 2023, 14:29

Un cielo basso e grigio e una pioggia fitta, incessante. Poi l’acqua che comincia a farsi strada ovunque, tra i campi, le strade e le case. La parola alluvione non basta per dire l’accaduto; per raccontare quello che sta vivendo l’Emilia Romagna dall’inizio di maggio.

Ma credo sia prudente usare bene i termini, evitare troppi discorsi, ed infiniti ragionamenti. Almeno ora, che la pioggia ancora cade, che l’acqua ancora deve defluire. Lo dico a me, in primo luogo, perché la cosa mi riguarda troppo da vicino. Sono bolognese e l’Emilia Romagna è la mia terra.

Le frane hanno spezzato strade che percorro da sempre, i canali hanno esondato in terreni fuori città dove ho passato la giovinezza; e le persone che ora stanno spalando il fango e mettendo al sicuro i loro beni o i loro animali domestici hanno anche il volto di amiche e amici a cui voglio bene da anni.

Poi c’è la questione, per così dire professionale: da scrittore, da storico, confesso di essere intimorito e infastidito, da questa massa di parole che si sta riversando addosso all’accaduto.

Certo, è un problema dei tempi: la notizia che si moltiplica, il commento che si fa urgente, il bisogno di esserci che diventa imperativo… troppe parole per uno storico che voglia ritrovare il senso dell’accaduto. Troppe parole per chiunque di noi, a dire il vero. Così ecco l’evento meteorologico eccezionale, i cambiamenti climatici, la quantità d’acqua mai caduta (le piogge più intense registrate nella regione dal 1961 specificano in molti), la siccità precedente, gli avvisi comunque tempestivi, ma poi il disastro, 280 frane, 23 corsi d’acqua esondati, 400 strade chiuse, 43 comuni allagati… e sono numeri in difetto.

E allora c’è chi guarda alla collina, il ciclone bloccato dall’Appennino che si sfoga sulla pianura e l’argilla che si scioglie: la terra di intere montagne scesa a valle alimentando acqua e fango. E poi conti, quelli davvero tragici, vittime, migliaia e migliaia di sfollati, cinema e persino musei diventati centri d’accoglienza, animali dispersi, morti affogati in certi casi, le piante, raccolti perduti e un’economia, come amano dire in televisione, ormai «in ginocchio».

Che a quel punto arriva tutta la retorica altrettanto corporea della «schiena dritta» e del popolo «che si rialza»; canti e fierezza che fanno da contraltare a chi invece comincia a scuotere la testa in cerca di colpevoli.

E qui salta fuori di tutto perché, gli storici lo sanno bene, è sui capri espiatori che da sempre l’umanità ha dato il meglio di se stessa. Così ecco il dissesto idrogeologico, la mancata prevenzione, il suolo eccessivamente sfruttato e consumato, la cementificazione: tutte cose drammaticamente vere, che avranno bisogno di essere indagate nelle loro responsabilità politiche e sociali.

Ma accanto a questo, anche l’inevitabile rumore di fondo un po’ più folcloristico: dalle nutrie alle scie chimiche (è imbarazzante anche da dire, ma ci sono pure personaggi pubblici che si lanciano in simili esercizi). Per non parlare di quel piccolo mondo di giornalisti, commentatori occasionali e scrittori più o meno alla moda che con entusiasmo un po’ da miserabili, cavalcano subito la polemica, denunciando colpe e misfatti con tutta la soddisfazione di chi lo fa soprattutto per ragioni politiche o ideologiche. E quindi basta così.

A uno storico rimarrebbe magari da contemplare il passato e dire qualche ovvietà di circostanza: che la terra a cui appartengo convive con l’acqua da sempre; e che questa convivenza è la sua ricchezza e la sua tragedia da sempre. Ma questa appunto è un’ovvietà che non dice nulla del presente, se non ricordarci che il nostro rapporto con la natura è fragile e decisamente compromesso.

Quello che conta è ciò che dovremo fare da domani: capire, analizzare, ricostruire e (ma non sono poi così ottimista) cambiare in meglio il corso delle cose, rendendo il nostro mondo un po’ più sicuro, un po’ meno in balia delle ragioni della natura e delle colpe degli uomini. Ma adesso basta: c’è ancora troppo fango.

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