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Salute mentale: serve uscire dalla vergogna e dare un nuovo inizio

 
Francesco Caroli

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Francesco Caroli

Salute mentale: serve uscire dalla vergogna e dare un nuovo inizio

La questione è riassumile in un quesito: per quanto tempo ancora potremo noi tutti illuderci che sia possibile affidare la risposta a questo bisogno di salute solo ai professionisti sanitari e ai volontari delle associazioni di settore?

Sabato 29 Aprile 2023, 13:32

Tra i temi che la cronaca nera periodicamente ci impone, c'è senz'altro quello della salute mentale. La questione è riassumile in un quesito: per quanto tempo ancora potremo noi tutti illuderci che sia possibile affidare la risposta a questo bisogno di salute solo ai professionisti sanitari e ai volontari delle associazioni di settore?

Ha avuto, infatti, purtroppo l’esito più tremendo la recente aggressione subita da Barbara Capovani, psichiatra dell’ospedale di Pisa, colpita da un ex paziente all’uscita dal lavoro.

L'episodio è solo il più recente degli ultimi mesi, dopo quelli avvenuti a Lodi, a Chioggia e soprattutto dopo la terribile uccisione a Bari della psichiatra Paola Labriola, colpita con 57 coltellate nel 2013. E poi decine di fatti con esiti meno gravi, ma non per questo meno importanti, segnalati dai dati Anaao-Assomed, secondo cui la psichiatria è la branca della medicina più interessata da questi episodi (il 34%) di violenza, seguita dai pronto soccorso (20%).

Questo caso limite è evidentemente solo uno tra i tanti che, in maniera più o meno pericolosa, riguardano il tema della salute mentale e delle vite ad esso legate che vengono condizionate, stravolte, ma anche in alcuni casi, per fortuna, salvate. Il tema va affrontato in maniera più diffusa e condivisa, non «scaricandolo» solo sui professionisti sanitari e su alcune categorie di volontari.

In Italia, secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, il 20% della popolazione soffre di disturbi mentali e solo il 20% di queste persone riceve una diagnosi e un trattamento adeguati, aprendo la strada a una possibile cronicizzazione e a forme di disagio più gravi e pericolose.

«La politica» (o meglio i decisori politici, le persone, che noi tutti abbiamo votato), deve fare la propria parte in maniera più convinta, più lungimirante, più strutturale. Può e deve farlo, innanzitutto, aumentando il numero di professionisti sanitari che si occupano di questi temi e riconoscendo loro giusti compensi, ma anche investendo maggiormente in offerta di servizi accessibili e gratuiti: ci sono ancora troppe persone che non possono permettersi di curarsi. Occorre scegliere - perché di scelte politiche si tratta - di finanziare, finalmente e adeguatamente, programmi e azioni di sensibilizzazione, prevenzione e presa in carico precoce. Troppe volte le lunghe liste d’attesa, soprattutto quelle che riguardano i disturbi degli adolescenti, diventano causa dell’evoluzione in vere e proprie patologie di un disagio lieve, con un costo, sociale ed economico, in prospettiva ben più gravoso. Mettere in campo tutto questo alla luce delle recenti evoluzioni delle neuroscienze, dell’epigenetica e dell’invecchiamento demografico è una scelta strategica fondamentale per il futuro.

Ma non solo: per troppo tempo da un lato una parte politica, infarcita di cultura retrograda e stigma, ha preferito negare l’esistenza del tema, la sua complessità e la necessità di soluzioni appropriate. Dall’altra parte, però, è bene ammettere che spesso abbiamo assistito a un approccio ideologico orientato a un vero e proprio «pauperismo sanitario». A disturbi e conclamate patologie si è pensato di rispondere solo con l’adozione di «professioni di fede» come «ascolto, socialità, comprensione», negando di fatto, invece, l’approccio scientifico, le cure adatte e le misure contenitive necessarie in casi di pericolo per la salute del singolo e delle comunità.

E ancora: occorre mettere le amministrazioni locali nelle condizioni di poter essere complementari ai servizi sanitari regionali. I comuni, infatti, possono favorire la creazione di reti di sostegno tra le organizzazioni locali, le associazioni, i gruppi di auto-aiuto e i servizi sanitari, al fine di facilitare l'accesso alla cura ma anche offrire un supporto sui temi legati alla vita delle persone: le relazioni, la casa, il lavoro. Alle istituzioni sanitarie spetta, su questo, il compito di aprirsi al territorio, alla comunità, alle innovazioni riconoscendo il valore dell’ambiente circostante nella definizione di stato di salute di un individuo.

Ma occorre essere chiari: l’intervento politico non sarà mai abbastanza. A ciascuno di noi spetta il compito di riconoscere il ruolo fondamentale esercitato in questo mondo anche da chi non vive il problema in maniera diretta. Il disagio mentale è una condizione che può riguardare tutti, in fasi diverse e condizioni anche temporanee della vita. Il disagio psichico non è una debolezza o una vergogna: occorre quindi uno sforzo per liberarci dallo stigma.

Questa ennesima triste vicenda, insomma, ci segnala che non possiamo più permetterci il lusso di girare la testa dall'altra parte: la gestione della salute mentale deve diventare una responsabilità condivisa da tutti. Per farlo abbiamo a disposizione degli strumenti: azioni, comportamenti e la responsabilità di individuare e sostenere proposte politiche che affrontano questo tema indicando visioni e soluzioni concrete (con relativi finanziamenti).

Al Quirinale, la Federazione degli Ordini dei medici ha dedicato una Medaglia al merito della sanità pubblica alla psichiatra Barbara Capovani. Un’iniziativa almeno per ricordare quel che è stato. A noi tutti il compito di scrivere quel che sarà.

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