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Capitale della Cultura: dopo i ko del Salento ci salvi l'arcangelo

 
Piero Liuzzi

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Piero Liuzzi

«Non c'è più religione»Ciak si giraa Monte Sant'Angelo

Resta da sperare che San Michele faccia il miracolo per Monte Sant’Angelo. La cittadina garganica è in corsa e le facciamo tanti auguri

Sabato 04 Febbraio 2023, 13:36

Forse è una maledizione. Forse no. Certo, ogni volta che una città del Salento si candida a diventare Capitale della Cultura, incorre in una bocciatura. È ancora fresca la ferita di Lecce 2019 che ambiva addirittura al podio europeo e ora il pollice verso tocca a Otranto. Eppure si tratta di luoghi in costante frenesia da autopromozione con immense ambizioni per glamour, accoglienza, enogastronomia, nessi e connessi in incessante magnificazione. Intendiamoci, per le intrinseche potenzialità, Lecce ed Otranto meritano abbondantemente il podio.

In verità, a rileggere il dossier prodotto per Lecce 2019 prende un po’ di scoramento. Oltre grandi peana alla partecipazione non si capiva tanta partecipazione dove volesse andare a parare. Un abnorme elenco di aspirazioni ma invano si sarebbe cercata un’idea forte, qualcosa che se realizzata restasse non solo per i turisti ma anche per i cittadini che non sono la serie B dei turisti.

Quanto al dossier otrantino, fa un po’ impressione, infarcito com’è di creative hub, start up, fab lab, placetelling, storytelling, networking, innovation hub, underwater experience, green belt, blue belt, augmented tour, food experience, wine tasting, show cooking, brand identity, capacity building

Tanta anglofilia è forse un devoto omaggio alla memoria di Sir Horace Walpole (settecentesco autore del romanzo neogotico “Il Castello di Otranto”) ma non ha convinto più di tanto la Commissione di valutazione, forse infastidita dall’eccesso di quell’angloassessorese tanto in voga.

Come per Lecce 2019, tante cose e cosette ma non un’idea forte.

Insomma, se Lecce e Otranto hanno toppato, resta da sperare che San Michele faccia il miracolo per Monte Sant’Angelo. La cittadina garganica è in corsa e le facciamo tanti auguri.

Bari, più modestamente, ha vinto il titolo di capitale televisiva. Lolita Lobosco ha sbancato l’audience. Un po’ Film Commission e un po’ Pro Loco; trama esile ma molto sitcom con adeguate incursioni nella gastronomia che è una sorta di ossessione dei poliziotti e dei magistrati meridionali. Mangia Montalbano, mangia Imma Tataranni, mangia e beve Lolita Lobosco con adeguato seguito di comprimari e comparse ambosessi in perenne show cooking, come direbbero a Otranto. Orfani di Camilleri che ha inventato per Montalbano una lingua tutta sua; saturato l’immaginario dall’ipernapoletano di “Gomorra”, Lolita parla con un accento che fa arricciare il naso ai baresi purosangue, ma tant’è. Se il siciliano e il napoletano sono lingue a tutti gli effetti, alle “montalbane” - come le definisce il professor Andrea Minuz sul “Foglio” - Lolita Lobosco e Imma Tataranni tocca un meridionalese un po’ indistinto, forse una lingua del futuro.

Ai bocciati otrantini resta la consolazione di essere diventati all’improvviso di madrelingua inglese. D’ora in poi potranno esclamare: “Mom! The Turks!”

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