Sabato 06 Settembre 2025 | 11:39

Non mandiamo i diritti nel pallone o sarà impossibile ospitare i mondiali

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Non mandiamo i diritti nel pallone o sarà impossibile ospitare i mondiali

Più voci lo hanno già definito «Il torneo dei diritti negati», sottintendendo che sarebbe stato meglio giocare altrove. D'accordo, ma dove?

Lunedì 21 Novembre 2022, 14:35

15:14

La vulgata vuole che, finita la cerimonia con i suoi abbaglianti intrattieni, sarà il campo a parlare. Lui solo, per un mese intero. Ma, lo sappiamo tutti troppo bene, ormai nulla è al riparo dalla canea sociologizzante che travolge ogni evento. Tutto è attraversato dai raggi X della coscienza critica sociale, ecologista, femminista. Perfino il torneo della bocciofila dovrebbe dimostrare di essere eco-friendly e gender fluid, figuriamoci i mondiali di calcio in Qatar che vanterebbero di per sé solide ragioni per essere avversati. «Il torneo dei diritti negati», come più voci lo hanno già definito. Sottintendendo che sarebbe stato meglio giocare altrove.

D’accordo, ma dove? L’ex presidente della Fifa, l’opaco Sepp Blatter, responsabile con Michel Platinì della scelta qatariota, una soluzione di riserva ce l’aveva come ha confessato giorni fa, chiarendo la necessità di optare solo per Paesi «grandi». E dunque, in primis, gli Stati Uniti d’America. La terra delle possibilità e del diritto alla felicità in Costituzione. Vero. Ma gli Usa sono anche altro. Sono gli orrori di Guantanamo. Sono i milioni e milioni di donne e uomini, in larga parte civili, uccisi dalla seconda Guerra mondiale ad oggi in un serpentone infinito di bombardamenti, conflitti, colpi di Stato e missioni di pace. Sono i cittadini a cui vengono negate le cure senza un’assicurazione all’altezza del proprio male. Sono i muri al confine costruiti da democratici e repubblicani. Sono la guerra razziale strisciante che attraversa un Paese giovane sì, ma non così tanto da potersi permettere di essere ancora irrisolto. Se di diritti si parla, insomma, la più grande democrazia del mondo è meglio metterla da parte, e pure in fretta.

Tra i «giganti», a questo punto, chi resta? La Russia si è «salvata» per un soffio ospitando l’edizione del 2018. Finché ci sarà Putin non potranno organizzare nemmeno l’Oktoberfest della vodka. C’è la Cina, ovviamente, che ha soldi, spazi, possibilità di investire e amerebbe, nonostante la modestia della propria squadra di calcio, darsi un palcoscenico globale di là dalla contabilità del proprio Pil. E tuttavia, non c’è bisogno di specificare - a proposito di libertà e cittadinanza - perché gettare il Mondiale tra le fauci del Drago non sarebbe un’idea felice né eticamente sostenibile. Ancora avanti, quindi. Via gli Stati del Golfo, via le repubbliche ex sovietiche, via il Giappone e la Corea del Sud (hanno già dato nel 2002). Quella del Nord manco a parlarne. L’Iran degli Ayatollah, scherziamo? Se state pensando a Israele telefonate ai palestinesi per un consulto, se l’idea è la Turchia converrà fermarsi un attimo a discutere di Erdogan. L’Africa ha problemi di logistica e stabilità politica. Oltre al Sudafrica, già Paese ospitante dell’edizione 2010, si segnala l’Egitto, realtà calcisticamente più avanzata di altre, ma Al-Sisi non è Mandela. E poi Regeni, Zaki, la corruzione dilagante. Niente da fare. La Nigeria e le sue mafie? Meglio rimandare. E allora si torna a casa, nella vecchia Europa, culla della civiltà occidentale. Non tutta, si badi, perché i Paesi del blocco di Visegrad, per quanto si stiano rifacendo un verginità supportando l’Ucraina, e nemmeno tutti, sono quelli accusati di attentare da anni allo stato di diritto con riforme anti-europee e di negare libertà acquisite con il loro ostinato conservatorismo cattolico. Li volevano escludere dal Recovery Fund, figuriamoci regalare loro la vetrina mondiale.

L’elenco potrebbe continuare ma è meglio chiuderlo qua per carità di patria. A parte i soliti noti e qualche eccezione sudamericana, si rischierebbe di giocare coi pinguini e coi canguri. Perché a voler passare il mondo attraverso le maglie strette del setaccio occidentale, resta poco a disposizione. Nemmeno l’Occidente stesso. O almeno non tutto.

Quindi delle due l’una: o si costruisce uno stadio in mezzo all’oceano (Atlantico, ça va sans dire) e si decide di giocare i Mondiali lì, nella perfetta utopia del nulla, al riparo da ogni fascismo montante. O si accetta, semplicemente, di lasciar rotolare il pallone da una parte all’altra del globo, senza dispensare a Stati e governi patenti di umanità democratica che nessuno è nelle condizioni di rilasciare. Valeva per la Russia ieri, vale per il Qatar oggi e varrà per la Cina domani. Lasciateci godere il Mondiale in santa pace.

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