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Nell’Italia «terra incognita» il grande paradosso dei cattolici in politica

 
Pino Pisicchio

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Pino Pisicchio

Nuovi e vecchi eletti in piazza Montecitorio

Dopo il voto si sono aperti cantieri per la ricostruzione di formazioni deragliate per penuria di voti o per inciampi strategici

Domenica 09 Ottobre 2022, 15:35

Le cronache politiche italiane sono approdate in una terra incognita i cui contorni appaiono avvolti dalla nebbia. È un inanellarsi di prime volte, gonfie di conseguenze: per la prima volta si annuncia un capo del governo donna; per la prima volta la leadership politica viene esplicitamente assegnata ad un esponente del «polo escluso», estraneo al patto costituzionale sottoscritto dai partiti del CNL e poi proseguito con i loro eredi; per la prima volta il Parlamento sperimenterà gli effetti dell’essere ridotto in un formato «bonsai», con conseguenze distorsive già sperimentate nella distribuzione della rappresentanza che, per gli algoritmi antiproporzionali della legge elettorale, ha assegnato ai vincitori un premio del 15,4% alla Camera e del 13,3% al Senato.

Ma nella terra incognita - dove l’unica cosa certamente mancante è una capacità di visione - si è messo in moto anche un processo penitenziale in alcune case politiche. Dopo il voto, infatti, si sono aperti cantieri per la ricostruzione di formazioni deragliate per penuria di voti o per inciampi strategici, e qualche volta per entrambe le cose-vedi Pd e Lega. Il Pd sembra infilarsi in un processo di espiazione collettiva attraverso il rito di un’elaborazione del lutto mediante sfinimento da dibattito, ma non paiono ancora toccati i temi veri di uno slabbramento con la base elettorale, che forse andrebbero ricercati proprio nell’assenza di una «visione» condivisa. La Lega spera di anestetizzare la sconfitta con un «di più» di potere, forse percependo anche che lo show down di un chiarimento definitivo tra gli «amministratori locali» e il leader dell’ultimo settennio, potrà essere rinviato e non eluso. Lo stesso «terzo polo», che non sembra aver fatto molto di più di un cartello elettorale, messo in piedi sul pianerottolo nell’ultimo miglio prima della chiusura delle liste, fa riflessioni «parallele» tra le due componenti.

I cantieri si aprono, dunque, ma, salvo voci sparute, nel dibattito pubblico non c’è traccia di una «cultura politica», quella cristiano-sociale. Il fatto curioso è che quella cultura è scomparsa dai radar proprio nel momento in cui la «dottrina della solidarietà» s’incarna in un testimonial gigantesco come Papa Francesco, imponendosi come pensiero largamente condiviso e comunque ineludibile in tutto il mondo. In realtà non si aprono cantieri per rimettere in sesto edifici che non ci sono, questo è certo, e l’edificio politico di una cultura cristiano-sociale in tutta evidenza non c’è.

Annichilito da una diaspora lunga decenni, disperso dall’utopia di una disseminazione nei diversi luoghi della politica, schiacciato da un rispecchiamento improbabile quanto inutile nell’esperienza democristiana, reso marginale dall’impossibilita’ di riduzione «ad unum» delle tante agapi di benemeriti pensatori poco preoccupati del precipitato politico del loro pensare, ecco che quel ceppo importante della cultura politica italiana è fuori gioco. Eppure sarebbe l’unico oggi a poter parlare con la società italiana, quella, per intenderci, in fuga dai seggi, che cerca un senso nella politica e si è stancata di trascinarsi al voto solo per barrare il simbolo meno molesto. Non sarebbe un rigurgito sanfedista ma una risposta al bisogno di democrazia dal basso e di solidarietà sulla base di un pensiero pensato e non di uno spot pubblicitario.

Ci sarebbe tempo e ci sarebbe spazio per farlo. E non è necessario che a farlo sia una forma-partito, anzi. C’è bisogno di cultura che si riproduca in politica. Su questa strada un pensiero cristiano-sociale consapevole di sé può dare e fare parecchio.

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