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Non possiamo assuefarci, la nuova «Guernica» e le nostre coscienze

 
Enrica Simonetti

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Enrica Simonetti

La Guernica di Picasso

L'arte di guerra che torna e ci mette i brividi: Damien Hirst, artista conosciuto per le sue opere contraddittorie con gli animali imbalsamati o per il teschio con diamanti, ha creato per la Biennale che si apre a Venezia un lavoro incredibilmente «sereno» dedicato all'Ucraina

Mercoledì 20 Aprile 2022, 13:33

Possiamo assuefarci alla guerra? Possiamo stancarci e smettere di prendere posizione? Non dobbiamo, sarebbe assurdo. Ma il rischio c'è, quando le immagini tentano di anestetizzarci, quando sentiamo ripetere che «durerà a lungo» e che «oggi sono stati trovati 420 cadaveri di civili, mentre tre giorni fa erano 350». L'odissea dei numeri, l'orrore delle fosse comuni, l'acciaieria della resistenza, gli scudi umani, le persone scomparse e i corpi senza identità che riemergono dai pozzi. Ogni giorno un tassello in più a questo mosaico bellico ucraino che è una Guernica rivissuta un secolo dopo, come se Picasso fosse riemerso e avesse proseguito a descrivere la guerra fratricida, con quelle braccia alzate, quei corpi sottomessi e calpestati, quegli occhi sbarrati e sofferenti.

L'arte di guerra che torna e ci mette i brividi: Damien Hirst, artista conosciuto per le sue opere contraddittorie con gli animali imbalsamati o per il teschio con diamanti, ha creato per la Biennale che si apre a Venezia un lavoro incredibilmente «sereno» dedicato all'Ucraina. Proprio lui, aduso alle visioni «animalesche» (come le mucche sezionate ed immerse in formaldeide), ha invece dato vita ad un'opera tenue, dal titolo Sky over Corn Fields, aggiungendo speranzosamente delle farfalle alla bandiera ucraina . E facendoci riflettere sui simboli della bandiera di questa nazione tormentata: il blu del cielo e il giallo dei campi di grano, ossia pace e prosperità, parole che oggi risuonano beffarde per un Paese martire.

Un Paese i cui colori sono ormai pochi. Sì, perché la guerra non ha colori. In questi giorni vediamo il nero di quei bustoni di plastica in cui si riversa l'orrore dei corpi «buttati» nelle fosse comuni; il verde-grigio militare delle divise e dei carri armati; la luce nuvolosa delle città bombardate, coi cieli fumosi che si somigliano sempre e che trasmettono angoscia. È grigia e densa di fumo anche l'acciaieria Azovstal di Mariupol che è un altro simbolo di questo conflitto: ci sarebbero mille civili dentro, insieme ai soldati, e ieri gli ucraini hanno riferito di un'intercettazione in cui un militare russo parla dell'ordine di radere tutto al suolo, compresa la gente, compresi i civili. E poi invece i russi dicono di aver cessato il fuoco per far uscire la gente, ma che i soldati ucraini li rendono scudi umani. Come ogni giorno, accuse e smentite, forse un monte di bugie. Perché la guerra non ha colori e non ha verità. Tutto è labile, come i diritti umani continuamente calpestati.

Bucha, una città che fino a un mese fa non era mai citata nei telegiornali, è al centro dei talk-show in cui i soliti esperti si scaldano. Noi guardiamo, ascoltiamo e poi ci facciamo distrarre dalle curiosità sui loro cachet, dalle guerre dell'audience, dall'enfasi del conduttore e cambiamo canale. Ieri la notizia dei medici e paramedici in camice bianco che portano il giubbotto antiproiettile, perché ora i russi stanno colpendo chi può assistere un popolo sotto le bombe: ne hanno uccisi 73 e feriti 55. In queste ore, sono loro gli obiettivi «preferiti», insieme ai civili dei bunker, ai bimbi che dipingono le uova visto che da loro domenica prossima è la Pasqua ortodossa e la passeranno ancora lì, temendo un missile che cade dal cielo.

Ieri si è dimesso dal celebre teatro Mariinsky di San Pietroburgo il direttore d’orchestra americano Gavriel Heine, che per 15 anni è stato una presenza fissa sul podio. Ha da sempre lavorato al fianco del direttore artistico Valery Gergiev, russo, putiniano di ferro e tra i due c'era un'intesa culturale fortissima, che è crollata a causa dei dissensi sul conflitto. Anche lo stesso Gergiev, il musicista filo-Putin, ha perso diverse tournée: la Filarmonica di Berlino lo ha licenziato e, tra le sale da concerto che hanno cancellato le sue performance, c'è anche la Carnegie Hall di New York. È vero, la musica e l'arte dovrebbero andare oltre, ma ormai siamo ad un punto in cui le scelte antiumanitarie sono così decisive che non si può tacere l'orrore. Appunto, non ci si può assuefare. Nemmeno rifugiandosi nella bellezza: Guernica insegna.

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