Come si può migliorare l’andamento scolastico dei ragazzi, degli adolescenti di oggi? Di sicuro più di un insegnante e allievo si porranno tale interrogativo. Mi sono occupata in qualità di filosofa dell’educazione o pedagoga o ancora educatrice, o docente di filosofia e scienze umane, di educazione, della relazione educativa tra maestro e allievo. Istruire, formare è stato da secoli un principio primario per scolarizzare il popolo, un imperativo se vogliamo, pensando a Kant, per creare generazioni solide: libere e responsabili. Illustri studiosi hanno approfondito il tema dell’istruzione, come Giulio Ferroni in Una scuola per il futuro (La Nave di Teseo) o Gustavo Zagrebelsky in Mai più senza maestri (il Mulino). Insegnando, sono consapevole di quanto il ruolo del docente sia essenziale e «tremendamente» pericoloso, per questo spesso si preferisce adeguarsi e uniformarsi al «così fan tutti» e «così devi fare anche tu».
Scardinare un sistema strutturato e quantomai sedimentato risulta difficile poiché ai più non sembri importare la qualità ma la quantità. Meglio avere più classi, esageratamente numerose e non perdere per strada i ragazzi. Così noi insegnanti continuiamo a stare dietro a «programmi», a meccanismi burocratici asfissianti fatti di corsi e ri-corsi. E la scuola ha assunto un sistema meccanico-aziendale, al pari di una fabbrica dove l’obiettivo da raggiungere è un buon voto in modo tale che nessuno si lamenti oltre a scaturirne una disumanizzazione del rapporto maestro-allievo. A scuola si dovrebbe imparare a vivere, osserva Edgar Morin, e come si può insegnare a vivere a questi ragazzi? Si fa incetta di riforme. Tutte puntualmente fallimentari, nonché devastanti. Ci adeguiamo al «così è se vi pare?».
L’interrogativo che spesso si rincorre nella mia testa è come poter fare a cambiare qualcosa dal momento che tutto è imposto anche i libri di testo, che mi viene spontaneo chiamarli sussidiari. Qualcuno forse sarà d’accordo con le mie percezioni: sono testi che anziché incentivare, appassionare e rendere curiosi i ragazzi, depauperano le loro menti. Si tratta di pagine stracolme di immagini: segno dei tempi. Direte. Sarà. Ma in un istituto superiore, qualsiasi esso sia, e in particolare in un liceo non possono essere studiati libri che assomigliano a quei testi utilizzati nelle scuole che attualmente si chiamano primarie e secondarie di primo grado. Occorre tanta letteratura, si necessita di filosofia, matematica, storia, storia dell’arte, fisica, tutto presentato con entusiasmo, un élan vital deve trasparire – anche se si è coperti da una mascherina. Eh sì, la contemporaneità è densa di difficoltà, di conflitti, di guerre vicine e lontane, ma soprattutto è carente di presenza. Direbbe Ernesto De Martino. Presenza di cultura, oltre a un’assenza di ruoli. La scuola deve insegnare a vivere: a non aver paura dell’altro, a infondere valori, amore, rispetto, dialogo. Retorica? No. Affatto. La scuola manca di questa umanizzazione. È una serva della gleba: non conta. Produce. Mentre la scuola dovrebbe rappresentare il ganglio della società: la struttura portante dell’umano.
In Italia si educano le future generazioni a non vivere, a non essere in grado di dare valore alla propria vita, significato a quella degli altri. Il tempo però non merita di essere sprecato (Seneca). La vita va ben oltre la sua unicità singolare: l’occasione della libertà risiede nella sua possibilità di viverla.