«Nel 1985 mi madre subì uno scippo, entrò in ospedale e dopo un mese morì. Non mi ripresi più da quello choc. Mi segnò, ero ancora minorenne. Amo Bari, ma in qualche maniera cominciai a odiarla. Iniziai a pensare di andar via, ma non accadde fino all’aprile del ‘93. Viaggiavo spesso, soprattutto in Spagna. Mi dissero che c’era questa bellissima isola e con alcuni amici decidemmo di trasferirci. Arrivai a Corralejo, a nord di Fuerteventura, e affittai una villetta davanti al mare. Mi addormentavo con la porta aperta ascoltando le onde del mare. Sono trascorsi 30 anni. Non ho mai rimpianto quella scelta, anche se adesso non ci sono più le condizioni per mollare tutto e venirci. Non c'è più nulla da scoprire. Il costo della vita è aumentato, i prezzi sono praticamente gli stessi che a Bari. Per comprare un appartamento servono dai 150 ai 200 mila euro, al ristorante si paga più o meno la stessa cifra. Io per primo non riconosco più il luogo tranquillo di una volta. Ho venduto nove ristoranti che negli anni avevo aperto, fra cui Il Fortino di Bari, un locale che qui ricordano ancora, dove si mangiavano orecchiette con le rape e le braciole. Da me sono venuti personaggi dello spettacolo e della politica, spagnoli e italiani. Non dimenticherò mai il maestro Luciano Pavarotti. Poi decisi di cambiare. Con mia moglie Gema, una spagnola 46enne, che ho conosciuto quando aveva 17 anni, passavamo troppo poco tempo insieme. Ma soprattutto vedevo di rado mia figlia Paola. Era piccina, aveva bisogno della presenza del padre. Ora ha 16 anni ed è la protagonista, diciamo così, della mia nuova avventura a Fuerteventura. Scusa la rima».
Massimo Miolla, 54 anni, ride. Ma la storia di questo emigrato barese comprende anche capitoli drammatici. Il Covid tre anni fa ha stravolto molte esistenze, compresa la sua. Da responsabile commerciale di un’azienda multinazionale, si è ritrovato senza lavoro. Ma non si è scoraggiato. Ritrovato l’entusiasmo dei primi periodi, si è rimesso in gioco, recuperando le origini. «Adesso - racconta - sono titolare di un laboratorio artigianale che produce focaccia barese, taralli e altri prodotti tipici pugliesi. Vendo nel mio negozio e rifornisco ristoranti e alberghi del luogo. In più, ho creato un marchio dedicato a mia figlia, Mamá Paola, e ho aperto pagine sui social Facebook e Instagram. Sto per realizzare un sito internet, mediante il quale conto di offrire questi prodotti anche altrove. Piacciono molto. Sono stato recentemente a Madrid da un ristoratore che aveva già provato i taralli baresi, ma dopo aver assaggiato i miei è rimasto soddisfatto e abbiamo stipulato un contratto. La predilezione è per ingredienti pugliesi. Ma posso garantire che la qualità della farina e dell’olio spagnoli è eccellente. Certo, bisogna saper scegliere. Poi è importante la preparazione, per la quale devo ringraziare Michele Gargaro, un vecchio amico che ha una panetteria in viale Orazio Flacco a Picone. Secondo me faceva, e fa ancora, una delle migliori focacce della città, senza nulla togliere agli altri panifici storici. Mi è stato molto vicino durante questi anni di emergenza. Bari, in fondo, è sempre nel mio cuore».