«Ho scelto neurochirurgia perché mi sembrava la specializzazione più difficile e a Bari ho trovato un’alta formazione di livello europeo, con tutta la tecnologia di ultima generazione». Il dottor Daniel Alvarado, 32 anni, è originario dell’Ecuador ma è cresciuto in Spagna, a Barcellona. Dall’ottobre 2019 è in Italia, prima a Catania e ora a Bari dove sta completando la formazione medica da primo specializzando della scuola del professor Francesco Signorelli, direttore della Uoc di Neurochirurgia del Policlinico di Bari. L’esperienza «difficile ma formativa» della pandemia, l’inserimento in un Paese accogliente «che mi ha fatto sentire un italiano in più», orizzonti aperti e la prospettiva di tornare a casa per fare il neurochirurgo «anche se qua ho trovato la fidanzata e tanti amici».
Ha lasciato Barcellona per inseguire l’obiettivo della neurochirurgia. Scelta difficile?
«Sì, è stata una scelta difficile ma sono molto felice di essere riuscito a fare quello che volevo. Ho lasciato famiglia, casa e amici, sono arrivato senza conoscere nessuno e senza sapere l’italiano. Bari mi ha dato l’opportunità di imparare molto a livello pratico, in sala operatoria, nella gestione dei pazienti. La scuola del professor Signorelli mi ha dato l’opportunità di realizzare il mio sogno di diventare neurochirurgo. Tra un anno e mezzo, quando finirà la specializzazione, sarà molto difficile anche lasciare tutto questo e tornare a Barcellona».
Perché ha scelto questa specializzazione?
«La chirurgia mi è sempre piaciuta, ma una volta ho assistito all’asportazione di un tumore in testa e sono rimasto stupito e affascinato per tutta la tecnologia che si usava. Quindi ho optato per la neurochirurgia cranica poi però i tutor qua a Bari mi hanno fatto scoprire anche quella spinale. Ora sono un po’ indeciso tra le due».
Quanto incide la tecnologia sul suo lavoro?
«Tantissimo, è decisiva per noi. Grazie al professor Signorelli, che mette a disposizione dell’equipe tutta la tecnologia di ultima generazione, l’ultimo microscopio, l’ultimo neuronavigatore, l’ultimo di tutti i macchinari, possiamo dare ai pazienti i migliori trattamenti e i migliori interventi».
Come mai ha scelto l’Italia?
«Ho fatto il concorso per la specializzazione a Catania, che era associata a Bari. Quando Signorelli ha deciso di avviare un nuovo progetto qui mi ha chiamato e mi ha proposto di trasferirmi a Bari, dove mi hanno accolto tutti molto bene».
Il suo percorso internazionale mostra che abbiamo meno frontiere di quelle che oggi alimentano tensioni internazionali. È d’accordo?
«Assolutamente. Sono qui da tre anni, ho imparato la lingua e la cultura. Al di là della specializzazione ho imparato tanto per la mia vita, è stata fondamentale per la crescita personale, sono diventato adulto e indipendente in un Paese di accoglienza. Sia a Catania che a Bari mi hanno sempre fatto sentire uno in più, un italiano in più».
Qual è la sua frontiera?
«Non lo so. Qualche anno fa non sapevo neanche l’italiano e mai avrei immaginato di vivere qui. Sto pensando di andare un po’ all’estero, perché l’Università di Bari mi dà anche questa bellissima possibilità di studiare fuori, di fare un’esperienza altrove per capire come lavorano in altri ospedali e rendere più completa la mia specializzazione, prima di tornare qui per concludere gli studi a ottobre-novembre 2024. All’inizio pensavo di tornare subito a Barcellona, ora tengo aperte le porte».
È arrivato durante la pandemia. Come l’ha vissuta?
«Ero in Italia da appena sei mesi. Conoscevo pochissime persone, ma l’ambiente ospedaliero mi ha aiutato tantissimo ad adattarmi a questa nuova situazione. Ho vissuto tante cose difficili e anche questo mi ha legato molto a Bari e all’Italia. Ma ho anche imparato tantissimo: non si poteva fare altro che lavorare, con protocolli diversi, con patologie diverse. Ovviamene spero non ci siano mai più situazioni analoghe, ma ora sono molto più preparato di altri medici anche in caso di pandemie».