Sabato 06 Settembre 2025 | 06:34

«Dalla parte di Chiara», il libro di Landi e Montanaro che dà ragione a Ferragni sul «pandoro-gate»

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

«Dalla parte di Chiara», il libro di Landi e Montanaro che dà ragione a Ferragni sul «pandoro-gate»

Un volume controverso, nato dopo un incontro in Puglia, che stimola la riflessione da un punto di vista controcorrente: «Si sono sovrapposti i piani tra beneficenza e compenso dell'influencer, e il conflitto che è scaturito è sproporzionato»

Sabato 04 Gennaio 2025, 07:00

La notizia è di pochi giorni fa: dopo più di un anno il pandoro-gate può dichiararsi «concluso» grazie a un accordo tra Chiara Ferragni e il Codacons, che prevede anche una donazione da 200mila euro da parte dell'imprenditrice a favore di un ente scelto insieme all'associazione che tutela i diritti dei consumatori. Lo strascico che la questione ha lasciato nell'opinione pubblica è pesante: perdita di «reputazione social» di Chiara, reduce anche da un difficile anno sul piano personale dopo il divorzio con Fedez; occhi più aperti da parte degli utenti del web nei confronti del lavoro dell'influencer, a cui viene richiesta sempre più trasparenza; imparare a scrivere correttamente sui giornali la parola «beneficenza» (ma qualcuno sbaglia ancora). Ironie a parte, non tutti sono d'accordo con la visione che vede Ferragni come il mostro cattivo, e i consumatori come le povere vittime: esiste un libro, anzi un instant book, uscito per Krill Books e nato da un fortunato incontro tutto made in Puglia, dall'eloquente titolo «Dalla parte di Chiara. Il caso Ferragni e la società incivile». La Gazzetta del Mezzogiorno ha chiacchierato con i due autori, Paolo Landi, sociologo della comunicazione, e il pugliese Marco Montanaro, scrittore e consulente in comunicazione. Senza troppi giri di parole, il volume prende le difese di Chiara Ferragni mentre tutti la attaccano, provando a spiegare perché secondo gli autori il caso del pandoro abbia scatenato un conflitto sproporzionato, e Chiara abbia conservato un'innocenza in un mondo dove non è mai esistita.

Raccontiamo la genesi del libro, come avete costruito quest'idea così controcorrente?

Paolo Landi: «Io ero a Francavilla Fontana a presentare il mio libro "La dittatura degli algoritmi", e proprio in quei giorni era scoppiato il caso Ferragni. Con l'editore Mino Degli Atti di Krill Books ci siamo confrontati e abbiamo deciso di scrivere qualcosa in difesa di Chiara, perché era stato alzato un polverone che non si capiva bene da dove arrivasse. A mio parere non c'è stata nessuna pubblicità ingannevole, nessuna truffa, e la multa era ingiusta in quanto la beneficenza era comunque stata fatta. Ho esperienza in charity aziendale, è una tipica prassi delle imprese: una campagna con magliette con slogan dedicati all'Aids o alla fame nel mondo non funzionerebbe, non sarebbe fruttuosa. Si fanno donazioni preventive, cosa che Balocco aveva fatto con l'ospedale Regina Margherita di Torino. Sicuramente Ferragni avrebbe potuto comunicare meglio il tutto, ma la sostanza è che la donazione di 50mila euro era già stata finalizzata. Quei soldi sono stati sovrapposti al milione che ha guadagnato Chiara, ma è stata tutta una sovrapposizione moralista e di gran confusione. Il risultato è stato drammatico per lei, che non credo tornerà mai ai fasti di un tempo, ma soprattutto per il settore del volontariato, che ora tirerà fuori i soldi dalle tasche delle imprese con sempre più difficoltà».

Marco Montanaro: «Io e Paolo involontariamente ci sovrapponiamo spesso nel corso del volume a livello di idee, andiamo nella stessa direzione stilistica. Con l'editore eravamo d'accordo nel mettere insieme questo libro che durasse comunque più di un instant book, anche se inserito in un contesto come quello della cultura digitale in cui tutto brucia in pochissimo tempo. Questo dettaglio ci ha fatto riflettere: solitamente al giorno d'oggi le beghe e le scaramucce che colpiscono soprattutto i personaggi del web si spengono dopo qualche giorno. Invece per Chiara non è stato così. E abbiamo deciso di analizzare il fenomeno».

Secondo voi quanto è contato il fattore «invidia» in tutta la faccenda? Quasi come se il popolo del web «invidioso» non stesse aspettando altro che un pretesto per affossare Chiara Ferragni...

M.M.: «Sicuramente è una dimensione importante, tra l'altro noi nel libro parliamo di Chiara, ma di storie simili ce ne sono quotidianamente. È un meccanismo che non cessa, l'eroe di un giorno diventa il cattivo del giorno seguente, la vittima è carnefice, l'invidia è insita nel genere umano. E quando è moltiplicata per milioni di follower, il risultato si amplifica. Ferragni è l'influencer per antonomasia, ho visto un accanimento anche da parte dei media tradizionali che non digerendo i nuovi linguaggi hanno preferito attaccarli».

P.L.: «I social sono fatti di cuori e pollici in giù, questo dinamismo tra "mi piace" e "non mi piace", odio e amore. Chiara Ferragni mostrava un profilo troppo perfetto, e quando si è scoperchiato il tutto, l'odio è dilagato».

Chiara Ferragni sa che è uscito questo libro? Si è fatta viva con voi?

P.L.: «Il libro è partito molto in sordina: ci siamo chiesti a lungo dove avessimo sbagliato, pensavamo fosse troppo intellettuale per i follower della Ferragni, e allo stesso tempo che la gente più interessata a un contenuto intellettuale non fosse interessata a lei. A un certo punto lei stessa ha chiesto di incontrarmi per ringraziarmi, e sono stato contento perché il libro non è una sua apologia, ma uno squarcio critico sulla vita digitale che stiamo attraversando. Ci siamo visti a Milano, si è fatta una foto con il libro in mano, e lo stesso giorno le vendite sono decollate. Gli stessi follower si sono chiesti perché non se ne fosse parlato. In realtà anche la stampa lo ha un po' snobbato, penso abbia ereditato gli stessi sentimenti provati nei confronti di Chiara: abbiamo ricevuto insulti gratuiti, recensioni negative di gente che non aveva letto una riga, ma sapevamo che erano tutte parole rivolte all'oggetto del libro, dato l'argomento così polarizzante. Non sta in piedi considerare gli italiani buoni e Chiara Ferragni cattiva e truffaldina. Il nostro obiettivo era solo stimolare una riflessione. In un caso, a un hater che mi stava insultando ho spiegato che i suoi insulti non erano indirizzati bene. Alla fine ha comprato il libro».

Che futuro prevedete per tutto il panorama dell'influencer marketing?

P.L. e M.M.: «Negli Stati Uniti Kamala Harris ha invitato 200 influencer all'ultima convention democratica americana. Finché i social continueranno a espandersi e nel mondo ne nasceranno di nuovi, sarà difficile che la professione dell'influencer tramonti. Sicuramente cambiano le modalità della comunicazione, ma avranno sempre più a che fare con tutti gli aspetti della vita quotidiana, dalla moda alla politica. La tecnologia va veloce, ma i creator sono qui per restare. Elon Musk è un influencer di Trump. I politici e i giornalisti comunicano come se fossero loro stessi degli influencer. È una dinamica ormai così interiorizzata che fa capire che è in ottimo stato di salute». 

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