Domenica 07 Settembre 2025 | 22:39

«Il Gattopardo libro conservatore spiega i tempi che cambiano»

 
Gaetano Quagliariello

Reporter:

Gaetano Quagliariello

«Il Gattopardo libro conservatore spiega i tempi che cambiano»

La figura del principe di Salina rimane emblema straordinario della crisi dell’aristocrazia e del crollo di un mondo, all’alba dell’Unità

Martedì 22 Ottobre 2024, 10:31

Il Gattopardo può considerarsi un classico del pensiero conservatore: universo quest’ultimo caratterizzato da una ricchezza ideale e psicologica che è difficile racchiudere in un compiuto sistema d’idee, mentre è più agevole da rappresentare narrando un’esperienza di vita. Un universo variegato che poggia però su una idea di fondo: la necessità di adattare un patrimonio originario immutabile al cangiante spirito dei tempi. Tomasi di Lampedusa esprime questo concetto attraverso la notissima formula: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». 

[…] Don Fabrizio, aristocratico per nascita, per cultura e per carattere è la personificazione di questa fine. Intersecando la storia sua e della sua famiglia con quella delle vicende che portarono all’Unità, Tomasi di Lampedusa descrive il lento ma inesorabile degrado di questi attributi della nobiltà e spiega le ragioni per le quali essi non avrebbero trovato ospitalità nel nuovo tempo che si apriva. Decade il legame, vecchio di secoli, tra l’aristocrazia e il censo. Don Fabrizio se ne rende perfettamente conto e proprio per questo accetta la prospettiva del matrimonio del suo nipote prediletto – Tancredi – con Angelica, la figlia del sindaco di Donnafugata, don Calogero Sedara. Comprende, cioè, come non sia più possibile chiudersi nell’ambito puramente aristocratico, perché farlo avrebbe condotto a una ineluttabile rovina economica. La ricchezza ormai si trovava in altre mani, certamente più ruvide ma proprio per questo più rapaci. Il venir meno del legame tra nobiltà e ricchezza corrompe inevitabilmente il concetto stesso di aristocrazia per nascita: quel diritto di sangue che nessuno fino ad allora aveva osato mettere in dubbio. […] Don Calogero, in quanto sindaco, era uno dei più importanti fautori del movimento unitario e quindi rivoluzionario. Né l’Unità né la rivoluzione gli avrebbero però impedito d’aspirare a conquistarsi un posto nell’aristocrazia del censo e persino in quella che deriva dal sangue. 

[…] La politica divenne, dunque, improvvisamente, anche uno strumento di ascesa sociale e questo – a prescindere dalle riforme e dalle leggi – rappresentava il contribuito più certo ed evidente che la stessa avrebbe apportato alla democratizzazione della società. Il realismo del principe Fabrizio, che prova in qualche modo a rendere meno repentina e incontrollabile la decadenza della sua classe sociale, comporta un prezzo: la frattura tra nobiltà dello spirito e lo spirito del popolo, colto nella sua spontaneità e nella sua lealtà. […] Fu, infatti, una persona umile e non istruita a impartire al principe una lezione di vita che aveva anche risvolti politici: una di quelle che lascia il segno. Don Fabrizio si reca a votare per il plebiscito e assiste alla proclamazione dei risultati, che a Donnafugata sono i seguenti: iscritti 515, votanti 512, sì: 512; no: zero. Il giorno successivo alle elezioni, il principe partecipa ad una battuta di caccia con Francesco Tumeo, detto don Ciccio. Durante una pausa, i due compagni si scambiarono alcune confidenze in virtù delle quali il Principe, grazie alla ruvida ma lucida analisi del suo compagno, realizza quanto accaduto a Donnafugata e in tutto il Regno. […] A questo punto, don Fabrizio cerca il momento propizio nel quale mettere a frutto l’insegnamento ricevuto. Tale momento giunge presto, poco dopo la battuta di caccia. Egli riceve una lettera dal prefetto di Girgenti con la quale gli veniva annunziato l’arrivo a Donnafugata del cavaliere Aimone Chavalley di Monterzuolo, segretario della prefettura, portavoce di una richiesta che stava molto a cuore al governo. Il rituale è lunghissimo; il missus dominicus piemontese giunge al palazzo e avanza la richiesta della quale era latore: portare don Fabrizio a sedere nel Senato del Regno. […] Il principe non si limita a declinare l’offerta con cortesia, ma accompagna “il gran rifiuto” con una controproposta. Egli è definitivamente persuaso del fatto che don Calogero avesse truccato i risultati elettorali, si fosse indebitamente arricchito e avesse usato la rivoluzione nazionale per assumere un titolo nobiliare, risponde così: «C’è un nome che io vorrei suggerire per il Senato, quello di Calogero Sedara. Egli ha più meriti di me per sedervi. Il casato, mi è stato detto, è antico, o finirà presto con l’esserlo; più che quel che lei chiama il prestigio egli ha il potere; in mancanza dei meriti scientifici ha tanti meriti pratici eccezionali: la sua attitudine durante la crisi di maggio scorso più che ineccepibile è stata utilissima. Illusioni non credo che ne abbia più di me, ma è abbastanza svelto per sapere crearsele quando occorrerà. È l’individuo che fa per voi».

In tal modo il prezzo del suo personale riscatto si scarica sulla politica. Qui si evidenzia quanto Tomasi di Lampedusa abbia in poca considerazione questa attività: per lui la politica, proprio perché nella sua accezione migliore è comprensione e rappresentazione di ciò che inevitabilmente è destinato ad accadere, deve ritenersi un’attività minore, che lascia poco spazio all’inventiva e alla conseguente possibilità di cambiare il corso delle cose.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)