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Dacia Maraini: «Da piccola fui internata in Giappone»

Dacia Maraini: «Da piccola fui internata in Giappone»

 
Stella Fanelli

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Stella Fanelli

Dacia Maraini: «Da piccola fui internata in Giappone»

Nel libro «Vita mia» la scrittrice ricorda il dolore della prigionia: «Questo è un momento di grande pericolo e poca memoria»

Lunedì 23 Ottobre 2023, 10:30

Nel 1943 una bambina felice e amatissima in Giappone sogna la pace in un tempo di guerra. Quella bambina è Dacia Maraini e all’età di 7 anni verrà internata in un campo di concentramento alla periferia di Nagoya con le sue sorelle, il padre Fosco, antropologo, e la madre Topazia Alliata, che irriducibilmente avversavano il Fascismo e che si rifiutavano di giurare fedeltà ai valori dell’Italia dopo Salò. Nel suo ultimo prezioso libro Vita mia (Rizzoli, pag. 224, euro 18) la Maraini chiede alla propria memoria di restituirle i ricordi più dolorosi degli anni della prigionia, quelli in cui il destino del Mondo scivola nello spavento e la Storia rivela tutta la sua vulnerabilità strappando agli uomini il diritto alla libertà.

Dire, raccontare, offrire la propria testimonianza sull’orrore che è la Guerra diventano strumento di verità perché nella «ondivaga storia di oggi», come sostiene la scrittrice che ha attraversato il Novecento con appassionata, vigile sensibilità, dobbiamo sentire la responsabilità di far comprendere la necessità della pace, la colpevole indifferenza al dolore e alle disuguaglianze dei più soli e deboli.

Nel suo ultimo libro con grande e coraggiosa generosità sceglie per la prima e ultima volta, dopo che lo avevano già fatto suo padre, sua madre e sua sorella, di raccontare quello che per moltissimi anni aveva taciuto, forse per dimenticarne il dolore, sugli anni della prigionia in un campo di concentramento in Giappone, dolore di tutta la sua famiglia.

Perché decidere di schiudere i ricordi più dolorosi della sua vita e offrire la sua testimonianza proprio in questo momento?

«Sono anni che sto portando avanti la scrittura di questo racconto. L’ho cominciato tante volte e poi l’ho lasciato, ogni volta rimandavo. Ma poi ci ripensavo e ricominciavo, per poi lasciarlo di nuovo. È stato un processo laborioso. Ma alla fine sono riuscita a finirlo. L’avrei rimesso di nuovo nel cassetto se non mi fossi resa conto che stiamo vivendo un momento di grande pericolo e di poca memoria. I giovani sembrano disinteressarsi alla minaccia di una nuova guerra mondiale. Voltando le spalle alla politica, si perdono nei meandri dei giochi tecnologici. Tutto questo mi ha dato la forza di terminare e consegnare il libro all’editore. Le testimonianze devono essere sincere e pubbliche».

Suo padre e sua madre hanno pagato il prezzo più alto che la fedeltà ai propri valori richiede: essere privati della libertà per il bene e la giustizia che il potere e la storia devono perseguire e scegliere sempre non ha indebolito le forze dei loro convincimenti. Quanto la dignità dei suoi genitori, il serio contegno dimostrato nella dura prova dell’internamento, il loro disprezzare le conseguenze del rifiuto che opposero alla dittatura in termini di costrizione della libertà di tutti, le ha insegnato e si è fissato sul fondo della coscienza della bambina che è stata e visse l’orrore, e poi della donna che ora ricorda e racconta?

«La loro scelta, che alcuni hanno criticato come azzardata, a me è sempre sembrata un atto di grande coraggio. Per me è stata una guida e un insegnamento per la vita. Una etica da condividere e non da condannare».

Quali responsabilità hanno avuto, hanno e avranno gli intellettuali ogni volta che il potere minaccia la democrazia? Quanto grande deve essere la fede di uno scrittore nella parola attraverso cui può sottrarre la verità all’oblio e noi all’indifferenza?

«Se uno scrittore, col suo lavoro, coi suoi scritti non politici, istituisce un rapporto col pubblico dei lettori, se si costruisce un prestigio per le sue invenzioni artistiche, secondo me ha una responsabilità nei riguardi di chi lo legge. Si chiederà al suo prestigio qualche parola per fare chiarezza. E molti scrittori, quelli più sensibili al sociale, lo fanno. Penso a Tabucchi, amico caro e uomo di grande talento narrativo. Un autore che ha saputo conciliare con grande abilità e sapienza la narrazione con la critica politica. Ma andando a guardare la storia della letteratura, troviamo che tutti i grandi scrittori del nostro passato sono stati, oltre che poeti e letterati legati ai fatti dell’immaginazione, anche attenti critici del loro tempo, da Dante a Boccaccio, da Leopardi, a Manzoni».

Il suo libro ricostruisce i ricordi e lo spavento di una bambina che all’improvviso vede prevalere l’ombra sulla luce nella sua vita e nel destino del mondo, accusa i regimi di ogni tempo che praticano la paura e la violenza per piegare volontà e pensiero ma rivela anche il potere inatteso di quell’amore che sa resistere e vincere: l’amore di una madre. Topazia Alliata è riuscita a proteggere la sua famiglia caduta all’inferno, con la lucida razionalità e l’istinto di donna che tutto ripara e salva. È osservando sua madre che ha imparato il dono che la femminilità è stata ed è nella Storia?

«Sì, mia madre mi ha insegnato ad affrontare senza retorica, senza vittimismo, i pericoli e le minacce di un tempo fatto di bombe, di fame, di malattie e di terrore».

Vivere una guerra lascia nell’anima ferite che nulla può guarire, ma lei scrive di aver scelto i libri e la musica per rinascere: di cosa abbiamo bisogno per comprendere l’urgenza della pace, dell’uguaglianza?

«I libri aiutano a uscire dal piccolo mondo del proprio io. Leggere è un esercizio di libertà. Per me i libri sono stati un ponte per passare da una cultura lontanissima a un’altra vicina per sangue ma non per pratica. Quando sono arrivata in Italia , ero una piccola giapponese: parlavo il dialetto di Kyoto e conoscevo le favole giapponesi piuttosto che quelle italiane».

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