Si può scrivere una storia d’Italia guardandola dallo schermo di un televisore sintonizzato su una tivù commerciale o di Stato? La si può scrivere guardando la musica pop e cantautorale e i resoconti cronistici dei quotidiani e dei settimanali? Sembra di sì. È quanto appare nella ricostruzione analitica del periodo compreso tra il 1966 e il 1982 che ci offre Miguel Gotor in Generazione settanta, un corposo volume edito da Einaudi. Gotor è docente di Storia moderna alla Sapienza, si è occupato degli scritti di Aldo Moro, della santità e del Vaticano in tempi moderni e della storia d’Italia nel Novecento. Soprattutto scrive davvero bene, avvincendo il lettore attraverso cronache che diventano effervescenti. Ritiene questo «decennio» il periodo più lungo nella seconda parte del secolo breve e più che scavarlo lo percorre, come si fa quando si accompagna il corso di un fiume. Tenendo per mano le cronache dei quotidiani e dei telegiornali accostando gli eventi banali, quelli sanguinari, quelli legati al pensiero accademico.
Per raccontare il ‘68 e dintorni Gotor parte dai fenomeni di costume di quegli anni e dunque dal gossip e dagli eventi politici, dai risultati dei referendum o dalla fortuna del cinema nazionale e dei cantautori degli anni Sessanta, con la rottura con il melodico sentimentale prodotta dalle scuole di Roma, di Genova e di Milano. La prima conta Renato Zero, Venditti e De Gregori, la seconda è la più consistente e dopo Tenco si avvale di grandi interpreti come De Andrè, Lauzi, Paolo Conte, mentre a Milano nasce il clan di Celentano, da Albano a Don Bachy. Ma l’Italia di quegli anni se va studiata sulle sonorità di Mogol e Lucio Battisti va anche vista alla luce della gara canora di Sanremo, nei suoi testi edulcorati e nazional popolari, e poi nell’edizione vinta da Gigliola Cinquetti, con la sua anacronistica Non ho l’età . Una canzone che fu accompagnata da un libro di lettere giunte alla cantante dai suoi fan. Ma non diversa fu Fatti mandare dalla mamma di Morandi, che parlava di una libertà dei giovani dalle famiglie che ancora non germogliava.
Questi autori mostravano un’Italia ferma nell’attesa di un improvviso cambiamento. L’Italia del passaggio dal mondo contadino a quello industriale, della disperata lotta per lo sganciamento dalla Democrazia Cristiana e qui narrata attraverso l’autunno caldo del ‘68 – 69, le lotte delle «tute blu», l’unione tra operai e studenti, la rivoluzione pedagogica di don Lorenzo Milani e della Scuola di Barbiana. L’Europa di quegli anni veniva invasa dalle sonorità dei Beatles e dalla rivolta dei giovani che in America si facevano influenzare da Allen Ginsberg e da Bob Dylan. E dallo sventramento del monolitismo della Rai, con la nascita della tivù via cavo e delle radio libere.
Avendo scelto la strada della cronaca politica e sociale accade che Gotor segua poco il corrimano della scrittura e del pensiero filosofico di quegli anni. Forse ritenendole poco frequentate dalla media nazionale dei giovani e del popolo. Sono solo accenni alla mentalità dei «Figli dei fiori» e del movimento hippy o la presenza del pensiero rivoluzionario dei Nouveau philosophee della Scuola di Francoforte, con Deleuze, Marcuse, Bernard Henry Levi, Guattary, la lotta serrata della Neoavanguardia e dei suoi iscritti, Sanguineti, Vassalli, Eco, Balestrini, Pagliarani, contro lo strapotere editoriale e contro la scrittura borghese che propinava romanzi medi di qualità.
Gotor ricostruisce un quindicennio che stravolge la mentalità bigotta e retrograda dell’Italia nuotando nel mondo della commedia erotica, quello del merlo maschio, che addormentò l’interesse del grande pubblico sulle nudità di Laura Antonelli, Barbara Bouchet, Corinne Clery, Catherine Spaak, Ornella Muti e riscopre la funzione rivoluzionaria di una filmografia più impegnata come quella di Bellocchio, Petri, Pasolini, Pontecorvo, Taviani.
Ma a questi agenti rivoluzionari aggiungerei la forza dei Gruppi Alternativi d’Avanguardia, diffusi in tutta Italia, capaci di sventrare il monolitismo dell’editoria milanese e protesi a difendere il potere della creatività e a renderla democratica. Ricordo gruppi sparsi dappertutto, da Pianura e Salvo Imprevisti al nostro Interventi Culturali che annoverava i poeti Giancane Zaffarano Di Ciaula Bellino e altri.
Una progressione di eventi che armeranno più tardi la mano di alcune frange di giovani e invece del dialogo spingeranno alla rivolta armata e all’assassinio di tanti giornalisti, sociologi, poliziotti e magistrati, sfociando persino in forme di connivenza tra gruppi rivoluzionari e mafiosi. Fino all’omicidio di Moro. L’evento più drammatico di quegli anni.
Un libro interessante e ricco che a mio modo di vedere apre a un lavoro più complesso e a più mani, perché quindici anni di storia che hanno scombinato le carte del conservatorismo e del patriarcalismo italiano ed europeo non possono essere sintetizzati in una cronaca che ha mille rivoli, dalla filosofia all’antropologia, all’economia. Una serie di eventi che hanno segnato il passaggio dal miracolo economico degli anni sessanta a forme di dialogo con il mondo intero, trasformando il Paese in una delle potenze industriali più importanti del mondo e aprendolo a fenomeni sociali che reggono tutt’oggi il nostro consorzio civile, dall’aborto al divorzio, al riconoscimento dei diritti del mondo gay e delle famiglie arcobaleno.
















