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Dalla Puglia alla Cina le visioni di Solito, fra mondo rupestre e ulivi millenari

 
ENRICA SIMONETTI

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ENRICA SIMONETTI

Dalla Puglia alla Cina le visioni di Solito, fra mondo rupestre e ulivi millenari

I lavori del fotografo e scrittore tarantino alla Biennale del Patrimonio mondiale Unesco

Sabato 06 Maggio 2023, 13:34

19:53

Sono tutti lì, in Cina: i muretti a secco pugliesi e i Sassi di Matera, la pietra di Castel del Monte e il verde meraviglioso della Foresta Umbra, che sembra un mondo parte. Queste alcune delle immagini pugliesi in mostra alla prima edizione della Biennale del Patrimonio Mondiale Unesco 2023 Italia-Cina. Una grandissima esposizione che si trova nella zona del Parco Nazionale di Zhangjiajie (Avatar), al China Museum International. Un’esposizione (nata in collaborazione con il Ministero della Cultura Cinese e il Consolato Generale d’Italia a Guangzhou, sotto gli alti patrocini del Ministero della Cultura Italiano e dell’Unesco) in cui è presente la grande bellezza dell’umanità. Fino al 20 maggio, per celebrare il cinquantesimo anniversario della lista dei Siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità, un dialogo universale tra luoghi da tutelare.

A riflettere sulla ricchezza dei tesori italiani registrati nella World Heritage List ci sono i lavori di cinque noti fotografi, dal pugliese Carlos Solito, a Luigi Spina, Luca Capuano, Mario Ferrara, Marco Introini. Nato a Grottaglie, scrittore e regista oltre che fotografo, Carlos Solito è presente con ben 66 gigantografie, riunite sotto il titolo Datevi pace. La bellezza dei tesori Unesco in Italia. A lui, un giramondo pugliese che qui racconta l’Italia da nord a sud, abbiamo rivolto qualche domanda.

Patrimoni, bellezza, tesori: come è avvenuta la scelta dei luoghi del Mezzogiorno?

«Scegliere è un affare per niente facile, lo trovo decisamente razionale in un concetto irrazionale, parossistico e istintivo quale è l’arte. Più che le tappe, a rappresentare gli approdi creativi di questa interpretazione fotografica sono stati gli orizzonti perché l’uomo, nell’attraversamento dello spazio-tempo, non si accontenta di ciò che è noto e sperimenta il limite che la geografia dei nostri giorni traduce – appunto – nell’ineffabile linea che unisce terra e cielo. Ho “percepito” i momenti migliori per la mia fotografia vagabondando in un limbo che non possiede tempo ma il piacere leggiadro del miraggio. Ovvero quell’inganno divino che - dalla Foresta Umbra al Santuario di San Michele di Monte Sant’Angelo, da Castel del Monte ai Trulli di Alberobello, dai versi megalitici dei muretti a secco ai sinogrammi polverosi dei tratturi della transumanza, dalle vertigini miracolose e rupestri dei Sassi di Matera all’Appennino primevo del Pollino – invita al senso dell’abbandono lì dove ci si sente bene, anche solo per un attimo, come a casa. Eccolo qui lo svelamento di una visione, per dirla alla Carmelo Bene, più che una scelta, attraverso il quale nascono le fotografie di Datevi pace».

Appunto, «Datevi pace»: il silenzio come filo conduttore in un’era di troppo rumore? 

«Rispetto alla buona novella (che poi è schiavitù e dipendenza stupefacente) dei social e delle troppe parole sprecate in questa nuova grammatica universale, credo che dovremmo dare un senso al perché la notte guardando il cielo stellato rimaniamo affascinati, lusingati, sorpresi. Lo stupore, quello autentico, lo stesso che celebriamo davanti a un quadro o a una scultura in un museo, tra le vestigia millenarie dell’antichità classica o semplicemente in un qualsivoglia contesto selvaggio (mare, collina o montagna che sia), ci accade - e ci riempie - perché siamo in sintonia coi silenzi».

Il rapporto con la Cina: quale il senso di questo dialogo d’arte?

«Ho avuto l’onore nel corso degli anni di curiosare la Cina sui libri e, successivamente, nella sua intimità geografica e umana. È un mondo, per noi occidentali, tutto da scoprire nel quale celebrare l’insegnamento del Mediterraneo: l’incontro e l’accoglienza. Lo scorso anno dopo un esordio timido con China Museum International per la quale ho curato la mostra di un collega fotografo newyorkese, abbiamo iniziato a pensare a come poter narrare in occasione dei 50 anni dall’istituzione della lista dei siti Unesco il Patrimonio Mondiale dell’Umanità italiano che, con 58 luoghi culturali e naturali, detiene il primato nel mondo. Mi sono rimesso in viaggio nello Stivale, dalle Alpi al Mediterraneo, per svaligiare quante più visioni possibili».

Quale di questi luoghi è il suo luogo e perché?

«I miei luoghi sono quelli nei quali sono venuto al mondo. La Puglia tutta, dal Gargano al Salento, ha una luce che m’intrappola. Una placenta, per certi versi teorizzata da Vittorio Bodini, nella quale torno nudo come mamma mi ha fatto. Tutte le volte che rimetto piede a casa, e quando dico casa dico anche Matera, vivo l’ipnotica sensazione di un quadro surrealista nel quale liberare l’innocenza impura del bambino che sono stato. La perfetta sintesi scenografica è per me il mondo rupestre e gli ulivi millenari: Lama d’Antico e Masseria San Domenico, una perfetta esegesi della primordiale Puglia rurale. E poi, mi concedo l’arrendevolezza di due luoghi appenninici: il Pollino, sacro come un Olimpo coi suoi pini loricati su Serra Crispo e l’Irpinia. C’è poi quel grande monumento idrico, l’Acquedotto Pugliese - e mi riferisco al Canale Principale - che dovrebbe entrare nella lista dei Patrimoni Mondiali dell’Umanità».

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